venerdì 9 settembre 2011

Francesca Melli, la brandangel per non cadere nelle trappole del naming

Interviste a chi il naming lo fa #5

L'insieme di persone e soggetti che si occupano di naming può essere molto eterogeneo. Credo che questa serie di "interviste a chi il naming lo fa" stia cercando di illustrare questo assunto. Se da un lato ciò che emerge è una crescente consapevolezza attorno alle problematiche e specificità del naming, del rigore che richiede e della necessità di trasmettere questo rigore ai clienti che comprano servizi di naming, dall'altro si percepisce anche che i progetti di naming hanno dimensioni e aspirazioni assai diverse.
Francesca Melli, oltre a essere impegnata in progetti di naming, insegna pure questa materia allo IED di Milano. Grazie a lei possiamo approfondire nuovi aspetti metodologici e anche qualche gustoso aneddoto!




AC: Come hai iniziato a occuparti di naming? Quali i primi progetti, le difficoltà più ricorrenti e gli entusiasmi?
FM: Ho iniziato a occuparmi di naming circa 10 anni fa, prendendo parte a un brain storming per trovare il nome a una nuova società. Sono rimasta affascinata dalla metodologia seguita per individuare il nome più coerente al posizionamento della newco e capace di trasmetterne i valori. Durante l'intera sessione il flusso creativo non ha mai perso di vista le esigenze strategiche del progetto, senza per questo risultare ingabbiato o meno spontaneo. Ho così scoperto che questa disciplina, che unisce creatività a strategia, mi piaceva e ho iniziato ad approfondire il tema e a partecipare a tutti i progetti di naming dell'agenzia per cui lavoravo. Da allora non ho più smesso e ho creato nomi per Mulino Bianco, Pavesi, Unilever, Telecom, Philip Morris, Fox e molti altri.
Le difficoltà di un progetto di naming? Far capire al Cliente che un nome non è superman - non può fare tutto da solo! - ma ha bisogno di essere integrato e sostenuto dalla grafica, da un eventuale payoff, da uno stile di comunicazione personalizzato... Ogni progetto è una piccola sfida che mi diverte e che mi spinge a cercare ed esplorare i significati, le combinazioni, gli idiomi.

AC: Potresti raccontare brevemente del metodo di naming che segui e applichi?
FM: Anche se il naming non è una scienza esatta, esiste un metodo che serve a non perdere di vista l'obiettivo del progetto. Parto sempre dai valori della marca e, individuando due o tre assi semantici coerenti a essi, lancio il processo creativo, che svolgo da sola o attraverso sessioni di brain-storming. Poi passo a una fase di scrematura in cui elimino i nomi più deboli, a una successiva fase di verifica che cancella i nomi già esistenti o simili nelle categorie merceologiche in cui il nuovo brand sarà registrato. Infine, compio un'analisi dei diversi livelli di significato di un nome, per verificare che non vi siano letture critiche. Preparo un documento con le proposte dei nomi che raccomando, che presento accompagnati da un breve rational che ne mette in evidenza i punti di forza rispetto al brand che dovranno "nominare" e a un'immagine che aiuta a visualizzare il portato del nome. Presento sempre personalmente tutte le volte che posso, per evitare che la semplice lettura del documento riduca tutto a un "mi piace/non mi piace", che non fornisce feedback utili, ma solo frustrazione!

AC: Insegni naming e scrittura creativa alla IED di Milano. Questi due aspetti dell'insegnamento hanno o possono avere interessanti punti di contatto? Ci sono degli aspetti dell'insegnamento del naming che sono degni di nota (reazioni degli studenti, interessi particolari)?
FM: In questi 3 anni ho notato che gli studenti del MasterBrand dello IED sono sempre più interessati al naming e riescono a far loro la metodologia in pochissimo tempo. Insieme facciamo anche molta pratica e questo li diverte e sollecita il loro spirito creativo. È molto bello quando un ragazzo o una ragazza che pensano di non essere affatto creativi, riescono a entrare nel meccanismo della generazione dei nomi e scoprono di essere perfettamente in grado di elaborare proposte coerenti, accattivanti e vincenti. Il naming e la scrittura creativa hanno molto punti di contatto, entrambi servono a dar voce alle marche, toccando sia le corde razionali sia quelle emotive del consumatore ed entrando in sintonia con le sue attese.

AC: Domanda di rito: quali le tue creature che ricordi con maggior soddisfazione e perché?
FM: Una delle mie case history preferite è la genesi del nome "PattiChiari", creato per ABI (Associazione Banche Italiane) e in uso presso tutte le banche italiane come brand che riunisce i servizi caratterizzati da alti standard di trasparenza ed efficienza. Si trattava di una gara tra agenzie blasonate e le aspettative erano altissime. La prima presentazione a Roma era andata bene, ma nessuna delle agenzie era riuscita a trovare il nome perfetto, così ci fu chiesta una seconda presentazione. Abbandonando il linguaggio tipico delle banche, un po' freddo e impersonale, puntammo tutto su un nome forte e un po' fuori dagli schemi. Al termine della presentazione la sala riunioni era stranamente silenziosa, facce imperscrutabili non permettevano di capire com'era andata. Perplessi e un po' inquieti salimmo in taxi per tornare in aeroporto, rassegnati ad attendere giorni prima di avere notizie dal Cliente. Mentre passavamo i controlli di sicurezza di Fiumicino, arrivò la telefonata: avevamo vinto la gara perché avevamo saputo osare con un nome che rompeva con il linguaggio tipico delle banche e riusciva a mandare un segnale forte ai clienti. In quel momento gli unici a non essere contenti erano i poliziotti al metal detector, che ci invitarono a non bloccare la fila e a smettere di lanciare esclamazioni di giubilo!

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