giovedì 30 giugno 2011

Numeri per nominare. Una scelta sempre controversa

Cifre all'interno di brand names ne troviamo tantissime. Pensiamo alle auto (C1, C2, C3, A1, A3, A6, 207, 3008 per stare ad alcuni prodotti in commercio). Ma quello delle auto non è forse il migliore esempio, visto che da decenni queste oscillano tra naming verbali, naming numerici o naming alfanumerici.

Pensiamo anche a un prodotto meno scontato, come le scarpe 373 di New Balance a lato, dove il product name è posto in evidenza nella linguetta. Oppure pensiamo al profumo 1881 di Cerruti (altro nome palindromo) o a Il Sole - 24 Ore che applica la cifra 24 a molti nomi dei suoi prodotti editoriali (Nova 24, Job24, Casa 24, Radio 24).

Anche su questo argomento, tra gli addetti ai lavori, si può leggere di tutto. Chi vede di cattivo occhio i nomi numerici/alfanumerici sostiene che sono poco evocativi, faticano a creare personalità nel prodotto, subiscono cambiamenti di pronuncia a seconda del paese dove vengono utilizzati.

La realtà è differente e non si può parlare in termini assoluti di quella che è comunque un'opzione di naming che assume significati diversi a seconda dell'ecosistema del brand nel quale è applicata. Capiamo intuitivamente il significato dato all'operazione di Audi o Citroën che chiamano le proprie auto A4 o C4: si impossessano di una lettera (iniziale), creano trasversalità e uniformità di contenuti (anche di design, all'interno di una stessa serie di auto uscite in tempi ravvicinati), creano implicitamente attesa (ad esempio A1 è uscita dopo A3, A4 o A6). Così 373, anziché essere un'"anonima" cifra, spinge, quasi subliminalmente, a interrogarsi su quelle tre cifre così visibili in molte calzature New Balance dalla quale ci aspettiamo ormai naming numerici di tre cifre (e che però domani potrebbe stupire tutti con un naming numerico a 4-5 cifre). Per Cerruti, 1881 rappresenta un marchio in portafoglio e la data di fondazione dell'azienda (heritage di marca). Come si può evincere, nomi numerici e alfanumerici inseriti all'interno di una precisa strategia aziendale e di marca sono spesso la spia di un precisa tattica di marketing e comunicazione e, anche in questo caso, gli estremismi che li vogliono belli/brutti, efficaci/inefficaci lasciano davvero lo spazio che trovano.

domenica 26 giugno 2011

Bauli Morbidi Amici, quando il jingle canta la struttura nominale

L'abbiamo sentito quasi tutti, è il jingle che accompagna lo spot delle merendine Bauli Mordidi Amici. Come tutti i buoni jingle cerca di stamparsi in testa per la sua semplicità.

Questo caso è interessante dal punto di vista del naming per una serie di motivi:
1) non è sempre vero che il nome è breve; nel settore alimentare, dai Quattro salti in padella Findus, abbiamo visto nomi composti sempre più frequentemente;
2) la struttura nominale di un prodotto può essere oggetto di comunicazione essa stessa e non semplicemente esplicitata nel packaging. Il jingle canta "Bauli Mordibi Amici" e non semplicemente "Morbidi Amici" (in chiusura la voce ribadisce Bauli Morbidi per esteso);
3) la pianificazione estiva dello spot consente a Bauli di presentarsi come brand per tutto l'anno, coerentemente con la strategia di brand stretching intrapresa da molti anni (si vedano i Croissant Bauli) che ha allontanato il brand dalla sola associazione diretta ai dolci natalizi e che l'ha proiettato quindi alla ricerca di nuove strutture nominali per i propri prodotti (senza seguire una strategia di umbrella branding tout court con il brand name Bauli che facesse da endorsement a un insieme di prodotti nominati genericamente);
4) "Morbidi Amici" sta per le figure rappresentate in queste merendine. Ancora figure, ancora design. Ci si può ricollegare a quanto scritto nel post dedicato a Vortici Perugina: è sempre più frequente nell'alimentare un'operazione di naming che rimanda al design di prodotto. Come già scritto in quell'occasione, sempre più spesso mangiamo design.

In questo caso il jingle rende più leggera l'esplicitazione della struttura nominale, consentendo di giocare su un brand name piuttosto lungo in chiave allegra ed efficace.

giovedì 23 giugno 2011

L'azienda e il naming tra vecchi e nuovi domini internet .impresa

Le operazioni di brand naming più articolate contemplano da tempo anche la ricerca di un dominio internet libero. Lavoro assai arduo, al quale si può ovviare aggiungendo un prefisso o un suffisso al brand name trovato, ad esempio newnameforyou.com oppure newnameonline.com. Alcune agenzie di naming estere hanno aggirato il problema, rovesciando la visuale: partono dall'acquisizione di parole-dominio che possono essere spendibili in ottica naming e le vendono (direttamente via web, si tratta di un e-commerce in sostanza) suggerendo già un possibile utilizzo in un determinato ambito merceologico. Un altro esempio su questa scia lo si può trovare qui.

Potremmo allora acquistare ipoteticamente i domini badratalquist.com e suadeor.com da una piattaforma di e-commerce dopo essere stati redarguiti, ad esempio, che il primo è particolarmente indicato per un farmaco con determinate caratteristiche mentre il secondo potrebbe calzare a pennello per un nuovo gustosissimo biscotto.


I vantaggi e gli svantaggi credo siano sotto gli occhi di tutti. Può capitare di fare l'affarone e acquistare un buon nuovo nome-dominio con poco e comprimendo al massimo i tempi, che in un'operazione di naming normale possono essere lunghi. Allo stesso tempo il rischio è quello di accontentarsi un po' troppo e rinunciare alle potenzialità di un naming "sartoriale", efficace e ben calibrato. Questi nuovi sviluppi piacciono forse ai "funzionalisti" del naming, i quali, in sostanza, affermano che il nome non importa poi molto e che è tutta una questione di prodotto o di altre leve di marketing (una posizione "estremista" che come tutti gli estremismi distorce la visuale sul naming e la sua centralità).

La situazione descritta qui sopra muterà in seguito al forte scossone di cui abbiamo letto in questi giorni, vale a dire il recente via libera dato da Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) ai domini .nomeazienda/nomedelbrand (sia esso la città di Amsterdam, ad esempio, o anche il nome di una star internazionale). Si inizia quindi a intravede uno scenario completamente nuovo per i domain names e per il digital branding. Facile pensare che i primi ad usufruire di questi domini saranno i megabrand planetari. Ma si tratta di un cambiamento rivoluzionario del naming system che aprirà scenari tutti da immaginare. Sicuramente un cambiamento epocale, che riguarderà da vicino i brand delle aziende e i soggetti che si occupano di brand naming, i quali potranno ritagliarsi una nuova strategica funzione consulenziale su scala globale.

domenica 19 giugno 2011

Un brand name per l'e-reader

Il mercato dei devices di lettura si sta muovendo abbastanza in fretta. Assieme a prodotti marcati Sony o Bookeen, troviamo i dispositivi venduti dai principali operatori della distribuzione (a lato vediamo Kindle di Amazon, un altro è il Nook di Barnes & Noble).

Negli Stati Uniti, dove sono sicuramente più diffusi, le operazioni di naming legate al loro lancio si sono rivelate attente a proporre un vero brand name che nel tempo ha contribuito a creare un determinato carattere e appeal del prodotto (e tutti sanno quanto conta il fattore appeal in questo comparto). Nel caso italiano, uno dei principali protagonisti della vendita di libri su internet ante amazon.it (i dati attuali non mi sono noti) è IBS.it, il quale si è reso a sua volta protagonista del recente lancio del dispositivo denominato "Leggo IBS". Il messaggio è chiaro: ogni protagonista della distribuzione cerca di offrire il proprio device. Valeva la pena osare con un naming più coraggioso e dirompente? Credo di sì. "Leggo IBS" sembra una traduzione italiana di "e-reader". IBS sembra preferire l'affermazione del proprio brand anziché attaccare il mercato degli e-reader (e della tecnologia) con un brand differente e innovativo, supportato eventualmente da IBS. Il nome "Leggo" lascia poco spazio alla fantasia, risultando fin troppo descrittivo delle funzioni di prodotto. Per un lettore che, per avere successo, deve essere innanzituttto "cool" non mi pare sia stata un'operazione di naming lungimirante.

Qualcuno (non so quanti) potrebbe obbiettare che anche un naming come iPhone è altrettanto descrittivo e poco audace, anche se spesso gli Apple enthusiasts amano indistintamente e trovano rivoluzionario tutto quello che esce da Cupertino (nomi compresi). Tuttavia, il pensiero di fondo da category killer che consente a Apple di poter adoperare con profitto ed efficacia l'architettura nominale "iQualcosa" è assai lontano da quello di IBS e di tantissime altre aziende.

martedì 14 giugno 2011

Il nome del vino. Siamo i numeri uno anche in questo?

In questi giorni è apparsa la notizia che l'Italia è il primo produttore di vino al mondo. Contestualmente è apparsa la "subnotizia" che diceva pressappoco questo: serve fare più qualità, più bottiglie e meno vino sfuso e altre cose del genere.

Lavoro in arrivo per le vetrerie quindi, non saprei se anche per chi si occupa di naming. Vini, nomi, nomenclature, Doc, Docg: un terreno assai scivoloso, dove a volte si fa fatica a parlare di un vero e proprio brand name (il vero brand per ora è infatti la Doc o la Docg o un tri-brand come "Franciacorta", territorio-metodo-vino) e dove si può, più verosimilmente, riscontrare una struttura di naming assai complessa data dal nome della cantina del produttore, dalla denominazione della varietà e talvolta anche dal nome proprio del prodotto.


Mentre il settore del label design ha raggiunto livelli di avanguardia (con concorsi dedicati in fiere importanti come il Vinitaly), quello del naming sembra debba ancora investire questo ricco ma assai complesso comparto dell'ecomomia italiana. Tutto sembra lasciato al caso, all'iniziativa dei singoli e magari all'iniziativa di chi si occupa principalmente di package design o label design.

Non vorrei spingere troppo sull'acceleratore e non vorrei che le mie parole suonassero addirittura blasfeme (quanta delicatezza serve avere per parlare di un prodotto vanto nazionale?) ma quello che mi chiedo è questo: se il settore della profumeria può considerarsi benchmark per il settore del vino (importanza del brand, del packaging, l'enfasi sulle essenze, gli investimenti nel naming, un canale distributivo esclusivo), quanto impiegheremo a capire l'importanza che il nome riveste anche nel mondo dei vini? Se sarà sempre meno "sfuso", il vino necessiterà di nuove attenzioni, non solo nel design della bottiglia (le forme ormai le conosciamo) e delle etichette. Magari in futuro proverò a capire se ci sono già in Italia delle interessanti realtà di wine naming.

lunedì 13 giugno 2011

Musei d'arte con un brand name troppo simile

Gli Stati Uniti fanno scuola. Così, sulla scia del grande MOMA, anche i nostri musei d'Italia impazzano per l'acronimo: Mambo, Mart, Macro, Madre, Maxxi, Mar.

Sembra che questi musei con nomi poco caratterizzanti e con la grave pecca di iniziare tutti per Ma- vogliano affermare "visto che bravo sono stato a scovare l'ennesimo acronimo?" Ho dei seri dubbi sulla loro efficacia in ottica di lungo periodo. Poi, nell'epoca di Google Instant, non è un grande affare che molti musei inizino con la sillaba Ma-.

Mi chiedo se tra novant'anni, nell'anno 2101, il Maxxi opterà per un re-naming in Maxxii, cioè se cambierà nome ogni secolo o se rimarrà specializzato nell'arte del ventunesimo secolo. Gli investimenti infrastrutturali sono stati notevoli ed è lecito pensare a lungo termine.

Questa tendenza per il momento pare abbastanza circoscritta ai musei di arte contemporanea e confido che non dilaghi. La "scuola museale americana" è arrivata anche nel naming, ma sono convinto che un nome come Uffizi si difenderà meglio nei secoli a venire! Forse da questa scuola dovremmo apprendere altre tecniche (organizzative e di gestione) e non quelle del naming.

venerdì 10 giugno 2011

Il naming di un nuovo canale tv

In principio fu La7, con un un naming significativo, corretto, coerente con il posizionamento "alternativo" ricercato e perseguito da questa nuova emittente. L'obbiettivo era chiaro: per un canale tv la principale mossa di marketing è essere a portata di zapping, e appurato che i primi 6 tasti del telecomando sono da tempo occupati, con il naming La7 si suggeriva il posizionamento "fisico" (non di marketing o di contenuti) nella tastiera del telecomando.

Poi è arrivato il Digitale Terrestre, un pullulare a volte incomprensibile di nuovi canali. Ogni tanto mi diverto a scorrere la lista per vedere quali nomi vengano dati a questi nuovi canali che nascono come funghi dopo una pioggia. Siamo arrivati a La15? O a La20? Non lo so, certo è che i naming poco felici che ho visto sembrano voler soltanto suggerire neanche tanto subliminalmente il posizionamento nella lista canali, entrare in una short-list alquanto improbabile per essere appunto a portata di zapping.

Sono sicuro che con tentativi di naming più coraggiosi questi canali potrebbero guadagnare visibilità, grazie a un nome che spicchi nella massa di questi nomi tutti uguali. Forse susciterebbero maggiore attenzione negli spettatori e, posizionati nel canale 333 del Digitale Terrestre, non sarebbero poi così fuori portata di zapping.

mercoledì 8 giugno 2011

Vortici Perugina. Nome e design nell'alimentare

Perugina prosegue da tempo in una progressiva penetrazione nel settore dei prodotti congelati. Si sa, la cioccolata in estate non va molto, e le strategie di differenziazione possono essere molteplici (pensiamo ad esempio al Kinder Merendero al posto del classico Kinder Sorpresa in casa Ferrero). Così Perugina ha pensato di entrare nel banco freezer dei supermercati, prima con alcuni gelati-stecco ricoperti di cioccolato, ora con il barattolo.

La linea prevede un'architettura di naming articolata: Perugina / Latte / Vortici, Perugina / Nero / Vortici e per Perugina / Baci / Vortici. La denominazione "Vortici" funge da collante per i differenti gusti e rappresenta la spirale di cioccolato che si può trovare immergendosi in questi barattoli.

Sempre più mangiamo design. I formati di pasta e i biscotti del Mulino Bianco ce lo insegnano da anni: anche in questo caso sembra che una parte "solida" del prodotto sia diventata lo spunto per questa operazione di naming in casa Perugina.

Batterio Killer. Il naming delle notizie

Sarebbe stato più facile inaugurare questo blog con delle riflessioni legate al brand naming. Comincio invece parlando di un argomento d'attualità.
Il batterio che sta impensierendo cittadini, agricoltori, istituzioni in genere pare sconosciuto. Tale idea era forse difficile da tollerare, ed ecco allora che è arrivato il primo naming per la notizia: "cetriolo killer". Povero cetriolo, che già non godeva di un'immagine con forte appeal nel mondo dell'ortofrutta. Poi si è capito che il cetriolo non c'entrava più di tanto. Ecco allora essere chiamati in causa i germogli di soia, ma anche per questi non vi è certezza. Nel frattempo, il naming della notizia era mutato: batterio killer.

C'è un profondo bisogno di dare un nome alle notizie, che in fin dei conti sono merce tra tante altre e la merce, si sa, se brandizzata si vende più facilmente. Questo bisogno poi sembra accentuato negli ultimi anni. Avrete notato come nei giornali e su web le titolazioni, almeno in Italia, abbiano spesso questa struttura: "Naming della notizia + virgola + altro testo a completamento del titolo".

Batterio killer significa "batterio assassino". Ma ce lo immaginiamo un titolo del genere, in italiano? No, spaventerebbe troppo. "Killer" è forse percepita come parola addomesticata? Ce lo immaginiamo questo batterio sconosciuto personificato come un assassino? Forse no, ma come un "killer" sì.

"Batterio killer" è comunque un naming più rispettoso dello stato attuale. Se non ci si fosse precipitati a parlare di "cetriolo killer", nei negozi di ortofrutta non troveremmo la parola "nostrani" sottolineata sette volte nei cartelli posti accanto alla cassa di cetrioli. Già parlare di "cetrioli killer" sarebbe stato meno impattante, perché avrebbe implicitamente condotto l'attenzione su una ipotetica partita di cetrioli infetti, non sul cetriolo al singolare e, pertanto, sull'universalità dei cetrioli.