giovedì 26 gennaio 2012

Naming e fonosimbolismo #4: Swiffer

"La polvere non dura perché Swiffer la cattura" è la copy strategy legata al lancio di questo innovativo panno elettrostatico capace di intrappolare la polvere ("new floor-cleaning technology"). Le pubblicità dei prodotti di pulizia creano spesso questo senso di sfida allo sporco/polvere, come se lo Sporco fosse la personificazione del mostro dello schema finale di un videogioco. La comunicazione di Swiffer è pertanto legata alle sue caratteristiche, alla sua imbattibilità, alla garanzia di superamento del nemico subdolo costituito dalla polvere. Tuttavia, a ben vedere, anche il suo nome è estremamente interessante, per tre ragioni soprattutto: 1) è il nome di un prodotto che, al momento della presentazione, non aveva uguali sul mercato (ha creato la category in sostanza); 2) è il nome dato ad un "alleato" importante delle pulizie domestiche e quindi, per lunga tradizione, deve funzionare, deve avere la propria ragion d'essere come quasi tutti i nomi della sfera igiene-casa e 3) presenta evidenti aspetti di fonosimbolismo che rientrano in un discorso che abbiamo intrapreso già da qualche tempo in altri post.


Swiffer richiama "Sweeper", ossia chi spazza e la macchina spazzatrice allo stesso tempo. L'attacco in Sw- sufferisce un approccio veloce e "scivoloso" alla pulizia, la presenza di -ff- sembra riprodurre un soffio, quindi qualcosa di rapido e indolore (come dev'essere un gesto di pulizia). Le due vocali presenti nel nome sono quelle luminose e rapide per antonomasia. Il finale in -er lega il nome a tutta una serie di oggetti che "fanno qualcosa" (in inglese avete "duster", "cleaner", "scrubber").


Il nome esce dai laboratori Lexicon, una delle agenzie di naming e branding più attente e consolidate nel panorama americano. Pur nascendo in un contesto anglofono sembra reggere bene anche la prova dell'"importazione" del segno linguistico in altri paesi.

lunedì 23 gennaio 2012

Animali, auto e nomi

Tra animali e auto corre un antico e fortunato legame. Pensiamo a Fiat (Panda), a Volkswagen (Lupo, Beetle). Oppure a Jaguar, che è il nome di un'intera casa automobilistica, non di un singolo modello. Gli animali hanno sempre ispirato il naming, nei più diversi settori (anche il nome di questo blog!). In quello automobilistico tornano con costanza, forse più nel mercato americano che in quello europeo. Una rapida ricerca mi ha restituito questo "33 cars named after animals":

1. Barracuda (Plymouth) 2. Beetle (Volkswagen) 3. Bison (Chevrolet heavy-duty truck) 4. Blackhawk (Stutz) 5. Bluebird (Nissan/Datsun) 6. Bronco (Ford) 7. Charger (Dodge) 8. Cheetah (rare 1960s high-performance sports car) 9. Cobra (Shelby, Shelby-Ford) 10. Cougar (Mercury) 11. Fox (Audi, Volkswagen) 12. Gazelle (Singer) 13. Honey Bee (Nissan/Datsun) 14. Impala (Chevrolet) 15. Jaguar (outgrowth of S.S. Cars, formerly Swallow Sidecars, Ltd.) 16. Lark (Studebaker) 17. Marlin (AMC) 18. Mustang (Ford) 19. Pinto (Ford) 20. Rabbit (Volkswagen) 21. Ram (Dodge) 22. Road Runner (Plymouth) 23. Sable (Mercury) 24. Skylark (Buick) 25. Spider/Spyder (Porsche) 26. Stag (Triumph) 27. Sting Ray/Stingray (Chevrolet Corvette) 28. Super Bee (Dodge) 29. Thunderbird (Ford) 30. Viper (Dodge) 31. Wasp (Hudson) 32. White Eagle (Kissel) 33. Wildcat (Buick)

Volkswagen, ho già scritto in apertura, lega la propria storia aziendale a nomi di animali (nomi persino tradotti, come nel caso del Beetle, e tradotti non univocamente: in Italia registriamo la curiosa coesistenza nei parlanti di Maggiolino e Maggiolone). Ultimamente sono rimasto colpito dallo spot coi ricci (animale apparso giocherellone anche nello spot di una spugna da cucina, tra l'altro). A chi non è capitato di incrociare in auto un riccio mentre attraversa la strada? Guardatevi lo spot della nuova Golf che sembra trarre il proprio spunto da questo legame sedimentato tra animali-nomi-auto e da queste storie di ricci che attraversano la strada. Chi pensa alla sicurezza dei ricci? A questo interrogativo sembra rispondere la storyboard di questo spot. Questo per dire che a volte il naming e le "tradizioni" di naming si riversano quasi inconsciamente anche su determinati percorsi di comunicazione del prodotto che vanno oltre il semplice nome. 

Per concludere, un'incursione leggermente fuori tema sugli spot di Volkswagen può starci: davvero se ne vedono pochi di così belli. Questo dei ricci che trovate alla fine, quello dedicato a Passat con il bambino che gioca a travestirsi da Dart Fener di Guerre stellari (il finale fa ridere), oppure il commercial della Cabrio di tanti anni fa che ha contribuito, a suo modo, alla nuova scoperta di un artista eccezionale come Nick Drake, con la colonna sonora tratta dalla stupenda Pink Moon. Non di rado gli spot sono le cose più interessanti che transitano sulla agonizzante tv generalista.


martedì 17 gennaio 2012

Il naming di un profumo tra connotazione e gioco di lettere














Forse in nessuna categoria merceologica il nome ha tanto penso e riceve tanta attenzione come in quella dei profumi. Provate a pensarci. Ci sono campagne tv o stampa dedicate a prodotti nuovi di questa o quella casa di moda, promozioni in punto vendita, la solita leva del campioncino, ma il nome di un profumo viene spesso a rappresentare la leva principale della comunicazione del prodotto, quasi dovesse davvero supplire ad un'anima tanto esile e fragile fatta di essenze volatili studiate a tavolino dai “nasi” della cosmesi.

Allo stesso tempo in nessun altro comparto gli operatori del naming possono trovarsi davanti ad una vastità di opzioni sconosciuta ad altre operazioni in altri settori, dove le indicazioni e i paletti diventano tanti e fitti. Il naming di un profumo poi, non di rado, libera quelle semiotiche connotative spesso legate a concetti di trasgressione (Poison di Dior, Mania di Armani, Guilty di Gucci).

Da qualche tempo mi pare di riscontrare una piccola tendenza che vuole il nome di prodotto rimandare direttamente alla casa da cui proviene, quasi le lettere venissero a ricoprire un ruolo di rimando iconico diretto alla casa di moda che ha lanciato il profumo: Ô de Lancôme, Mania di Armani (quasi un anagramma) e Guilty di Gucci, dove è evidentissima la ripresa delle prime due lettere GU- della casa di moda fiorentina (una ripresa che poi è puramente grafica visto che la pronuncia di GUcci è assai lontana da quella di GUilty).

domenica 8 gennaio 2012

Kodak, un nome storico verso il Chapter 11







E dopo Polaroid, anche Kodak non sta benissimo. Sembra davvero un ciclone quello che si abbatte su alcune aziende e brand "gloriosi" che hanno fatto epoca, tanto da passare nell'immaginario collettivo: un "Kodak moment" è un momento particolare della vita, da ricordare. Così nel linguaggio popolare. Le notizie di questi giorni parlano di Chapter 11, con una bancarotta-fallimento più probabile di una riorganizzazione.


Ma un brand name come Kodak può morire? Non credo, qualcuno penserà a salvarlo dal naufragio, è troppo importante, iconico e noto per andare a picco con l'azienda che nomina. La Eastman Kodak Company fu fondata nel 1892 da George Eastman. Il nome Kodak (un semplice giro sulla pagina di Wikipedia ve lo confermerà) è un nome eccezionale e anticipatore per l'epoca. Quando la maggior parte dei capitani d'industria optava per il proprio cognome, non era affatto scontato che un imprenditore scegliesse per la propria azienda un nome che fosse facile da pronunciare in tutto il mondo, inattaccabile da mispelling, con quella "K" ("it seems a strong, incisive sort of letter") che rappresentava la lettera favorita da Eastman. Il nome nacque da un anagramma portato a termine con la madre. Un nome corto, facile da pronunciare, privo di grattacapi in termini di deposito di marchi e soprattutto non riconducibile a nient'altro che a Kodak. Ce n'è abbastanza per intitolare un premio annuale sul naming a George Eastman! Con un secolo d'anticipo Eastman aveva dato il via ai cosiddetti "nomi coniati", come Yaris, Avensis, Swiffer, Opodo ecc. Nomi di "pura fonetica", che possono far scattare delle associazioni, ma il cui significato non è preconfezionato e pronto all'uso e si contraddistingue invece come significato che nasce proprio dall'uso.

giovedì 5 gennaio 2012

Naming e fonosimbolismo #3: Schweppes

Questo di Schweppes è proprio un esempio interessante. Schweppes è un normalissimo brand name che deriva dal nome del fondatore, esattamente come Barilla, Benetton o Ferrari, forse il brand italiano per antonomasia. Il fondatore, un uomo vissuto tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, si chiamava Johann Jacob Schweppe. 


L'altro giorno, osservando il packaging di una bottiglia di Schweppes, mi sono reso conto di come l'azienda giochi apertamente - ad un livello olistico direi - con il "presunto" suono dell'anidride carbonica quando fuoriesce da un contenitore aperto o stappato. L'attacco in S, "ch", la W, la S finale: il brand name Schweppes sopra a delle bollicine di anidride carbonica ha il suo perché, e nella creazione dell'identità verbo-visiva della marca tutto questo ritorna apertamente.


L'interesse di questo esempio sta però nella casualità di tutto ciò. Schweppes non è un nome coniato appositamente per l'ingegnosa bibita aggiunta di anidride carbonica ma semplicemente il nome derivato dal fondatore, una bizzarra e casuale versione moderna del nomina sunt consequentia rerum (un adagio sul quale poggia un po' tutto questo approccio fonosimbolico al naming). Si aprirebbero qui questioni troppo complesse che toccano la convenzionalità del linguaggio. In questi spazi, più volte, siamo stati più propensi a prendere in considerazione un opposto res sunt consequentia nominum. Ma quel che mi limito a fare è riportare qualche esempio adatto ad un capitolo aperto sotto il titolo di "naming e fonosimbolismo", ragion per cui vi lascio l'augurio di buon 2012 offrendovi la celeberrima Tonic Water: è il caso di dire che l'anidride carbonica quel signor Schweppe ce l'aveva proprio nel sangue (come tutti noi, del resto)!