lunedì 24 giugno 2013

Casi di renaming: Neurothon diventa Revert



Neurothon, l’Associazione no-profit diretta dal Prof. Angelo Luigi Vescovi, nata nel 2003 per finanziare, promuovere ed incentivare la ricerca sulle cellule staminali cerebrali ed avviare la sperimentazione clinica sull'uomo, cambia nome in Revert. Nome e identità sono state sviluppate da Landor Associates. Come si legge nella nota di Landor "La nuova identità è basata su un simbolo immediato e universale e su un nome semplice e comprensibile anche all’estero, che esprimono l’obiettivo fondamentale della ricerca: invertire l’esito drammaticamente negativo della malattia per riattivare, rigenerare, restaurare le funzioni neurologiche." “Revert è un nome forte perché è una vera “call to action”, un imperativo ad agire" spiega Paolo Insinga, Design Director sul progetto "Che tu sia un ricercatore o un sostenitore, Revert ti colpisce, ti muove. Non puoi ignorare il suo messaggio". 
Interessante capire il percorso che ha portato Landor al nome Revert. All'inizio ci si è allontanati dal terreno semanticamente ostico delle patologie, poi "sono stati valutati temi vicini al mondo delle cellule staminali, dei processi rigenerativi e del miglioramento della qualità della vita, ma tutti sono stati scartati perché poco differenzianti". Landor ha infine optato per il beneficio fondamentale a cui punta la ricerca, ovvero la possibilità di mettere in discussione, ‘revertire’ quindi, le patologie finora ritenute irreversibili.
Il nome è un augurio, dicevano i latini.

lunedì 17 giugno 2013

Qualche problema coi toponimi

Ho sempre pensato che un comune confinante con i due comuni dove finora ho abitato abbia qualche problema coi toponimi (oggi parlo di toponimi nel mio blog sul naming, anche perché in fondo c'è qualche aspetto "brandizzante", oltre che imbarazzante, in quello che ho notato nel tempo). Dapprima, anni fa, in epoca di incontrastato dominio leghista, l'amministrazione optò, con un'operazione che oggi aizzerebbe gli scudieri della spending review, per la sostituzione di cartelli non arrugginiti e non pencolanti con altri nuovi dall'indicazione toponomastica "bilingue". Erano altri tempi, in cui la speculazione-polluzione edilizia consentiva una certa leggerezza di spesa (oggi invece si narra diffusamente di certe scuole delle nostre zone che fanno fatica a trovare i soldi per la carta, sia quella dei fotocopiatori che quella igienica, oppure per tinteggiare e igienizzare le pareti). In sostanza furono sostituiti i cartelli in vista lungo la trafficata statale con dei cartelli riportanti le due versioni del toponimo, quella italiana e quella fantomatica dialettale. Se ben ricordo rimasero estranee all'operazione le due frazioni sperse in mezzo alla campagna, forse poco interessanti in termini di visibilità. Una delle due poi sembra non avere nemmeno una dicitura consolidata in dialetto. Insomma, pochi sono i dubbi sulla natura tutta propagandistica dell'operazione "identitaria". La realtà è che i nomi dialettali che apparirono sotto il nome in italiano erano alquanto discutibili, soprattutto nel caso di una frazione molto in vista in un segmento di statale. L'operazione insomma era discutibile non solo da un punto di vista etico, finanziario, sociale e soprattutto politico, ma pure da un punto di vista filologico e linguistico. Un gran peccato, se pensiamo che questo comune ha dato i natali a un gran filologo, maestro di Renato Serra, successore di Carducci e Pascoli a Bologna, sommo studioso del Ruzante, spesso ricordato strumentalmente dalle penne di certi storici locali e - guarda caso - autore di una nota intitolata Di alcuni nomi di paesi trevisani derivati da vicinatus (Bologna, Zanichelli, 1901), situazione nella quale ricade probabilmente anche il caso della succitata frazione molto in vista. Ma pazienza. Curioso però registrare come la dicitura dialettale scelta per questa frazione corrispondesse solo in parte con il parlato dei bar o dei panifici della piazza, dove potevi sentire pronunciato quel toponimo con un normalissimo troncamento finale in -del, o, più venezianeggiante, in -deo. Anche questa indecisione di fondo nella pronuncia poteva costituire un freno per gli amministratori, volenterosi di ostentare un bilinguismo da segnaletica stradale assai discutibile. Così non fu. E in fondo qui non siamo nel Friuli, dove il toponimo dialettale e quello italiano a volte si trovano a distanze notevoli; ricordo che comuni limitrofi a questo, con toponimi dialettali assai lontani dal nome italiano (e univoci, senza doppie pronunce), rimasero fortunatamente alla larga da simili operazioni. 

Ora i problemi toponomastici sembrano riproporsi con l'ennesimo, inventato "palio di contrade". Non si capisce bene se questo tipo di iniziative tenti di dare un'anima a un suolo devastato e abbruttito dalla succitata speculazione-polluzione edilizia. Se così è, mi pare che siamo lontanissimi. Sono apparsi allora nomi di "borghi" di pura fantasia a contraddistinguere strade, vie e quartieri, con gran dispendio di colori, gagliardetti e poco ecologici addobbi. Il tutto alimentato da un attivismo contradaiolo e da un dispendio di impegno, tempo e fervore che stride con la signora che talvolta incontro in ferramenta o in posta la quale mi passa inappellabilmente davanti perché ha da fare, ha fretta o - testuali parole - "la pentola sul fuoco". I nomi che queste "borgate" hanno scelto per sé non si erano mai registrati nel parlato delle persone, mai uditi in una normale chiacchierata al bar o in panificio e probabilmente fanno la loro comparsa effimera soltanto nei giorni di questa "festa". Presi singolarmente poi appaiono come delle "contraddizioni in termini". I problemi con la toponomastica persistono, il morbo può essere contagioso e arrivare ai comuni limitrofi. Non so ancora bene come leggere questi fenomeni. So che un po' mi fanno male e forse sono la spia di uno dei nostri tanti malesseri.

lunedì 10 giugno 2013

Muse, il nome del nuovo museo delle scienze di Trento

Manca poco più di un mese all'inaugurazione del nuovo museo delle scienze di Trento progettato da Renzo Piano. Il nome scelto? MUSE. Il sito è già in linea qui. Qui invece potete trovare il video-trailer. Il nome presenta almeno un paio di motivi di interesse. Il primo è semplice, direi semplicissimo: dalla parola "museo" è stata tolta la -o finale. Il secondo consiste nel fatto che, così facendo, si è data origine a una parola plurale di senso compiuto e, ancora una volta in ambito museale, a quello che nelle intenzioni vuole presentarsi come un acronimo (sembra ormai che non si possa battezzare un museo senza ricorrere ad un acronimo... in questo siamo molto filo-americani, molto filo-MOMA). L'acronimo, a dire il vero, è un po' "preso per i capelli", se leggiamo le maiuscole della spiegazione nel sito dell'APT di Trento (MUseo delle ScienzE). Più interessante, a mio avviso, soffermarsi sul fatto che il nome è dato dalla parola Museo senza la -o finale e che, da questa scelta, derivi il plurale di "musa". Anche se solo Urania poteva considerarsi musa "protoscientifica", credo che la vita e lo sviluppo delle scienze abbia molto da spartire con queste divinità greche. Per ritornare al nome, qualcuno potrebbe pensare che è questa una denominazione un po' troppo vicina al nome dell'altro museo (d'arte) di quella regione, il Museion di Bolzano. Chissà se è una scelta di naming voluta in ottica di sinergia interprovinciale.

Infine, pur non essendo il mio campo, noto una scelta singolare per il logo. Si è cercato di simulare la "piega" di un'ombra alla parete. Curioso. Ho avvertito come singolare anche l'orientamento del logo verso il basso, in diagonale. Credo che per la leggibilità non sia il massimo. Ma il lancio della nuova struttura sta avvenendo a dire il vero all'insegna di un marketing certo non convenzionale e lo si nota anche nella scelta dei colori "istituzionali", abbastanza innovativa. In bocca al lupo quindi a questo museo (avremmo proprio bisogno di un buon museo della scienza).

lunedì 3 giugno 2013

Too much "life" in verbal branding? Qualche considerazione sui casi di LG, Samsung e Panasonic

A chi passa in centrale a Milano non sfugge l'affissione gigante dedicata al nuovo Samsung Galaxy S4. Il payoff è "Life companion". Quando è arrivato il momento in cui quel poster - secondo la celebre vulgata di Seth Godin, l'autore di Permission Marketing e il fustigatore dell'interruption marketing - ha interrotto e intercettato la mia attenzione, mi sono detto che forse non c'è, almeno in tema di verbal branding, una grande originalità nel settore dell'elettronica di consumo, che pure è uno di quelli commercialmente più vivaci negli ultimi anni. Parlo di "verbal branding" forse per la prima volta con un post dedicato, ma si tratta di un argomento affine al naming. Il "verbal branding" è un servizio offerto dalle agenzie specializzate, spesso assieme ai servizi di naming. Con "verbal branding" ci riferisce infatti all'universo delle espressioni verbali che definiscono l'identità di marca, quindi il nome, il payoff, le headlines, le taglines ecc. Detto diversamente, tutto ciò che è parola nell'universo della marca. Sono ad esempio celebri (e fortunate) le guidelines di stile di Groupon e nulla vieta di ricondurle dentro un preciso programma di verbal branding. Il mio esercizio in centrale a Milano è stato allora abbastanza semplice e scolastico, se volete. Ho preso tre marchi leader (Samsung con Galaxy S4, LG e Panasonic) e ho ricercato i payoff più noti a questi collegati: "Life companion" per il primo, "Life's good" per LG e "Ideas for life" per Panasonic. Che non ci sia troppa "vita" in questo verbal branding?