sabato 26 settembre 2015

Sulla fortuna di alcuni suffissi (come "Air" ad esempio)

Qualcuno penserà che da qualche settimana a questa parte abbia preso di mira Apple. In realtà non è così, ma per una serie di circostanze, ultimamente, quando mi attivo quei pochi minuti per cercare l'argomento del post da scrivere, lo sguardo si posa sempre su aspetti che hanno a che fare con quest'azienda. Il nome iPad Air, dato alla quinta generazione di iPad, suona infatti così vicino alla realtà di immaginario di Nike, altra azienda americana che ha fatto del suffisso "Air" un baluardo. I suffissi - abbiamo già avuto il modo di scriverne in passato - sono pienamente coinvolti nella realtà del naming. Se nel caso dell'azienda di calzature e abbigliamento "Air" è legato alla leggerezza, nel caso di iPad "Air" ci si ricollega sicuramente alla leggerezza, tuttavia per sottolineare anche un design più sottile. Strano però che la fobica attenzione che i brand si riservano per nomi simili non trovi analogia in suffissi addirittura identici! In fondo stiamo parlando di due tra le aziende americane più note al mondo, anzi, di due delle aziende più note al mondo tout court. Probabilmente, in certi casi, l'imitazione è tollerata o forse addirittura ricercata.

sabato 19 settembre 2015

Origine del nome Amiga (sull'ordine alfabetico in un contesto competitivo)

Stavolta parliamo di un brand che non c'è più. Eppure chi tra quelli che smanettavano negli anni Ottanta e Novanta non se lo ricorda? I prodotti Amiga, venduti per oltre un decennio dalla Commodore, presentavano dei tratti veramente innovativi, ereditati poi da altri sistemi che "ce l'hanno fatta" e che tuttora abbiamo davanti agli occhi ogni giorno, in forme naturalmente mutate. Anche il modo di presentare i prodotti di Apple, se guardiamo il video con Andy Warhol come testimonial linkato alla fine, ha ben poco di nuovo. Anzi, è in fondo profondamente antiquato ed efficace: una televendita d'autore senza possibilità di acquisto immediato. E le storie di Apple e Amiga sono legate anche nel nome. Come si legge nella pagina Wikipedia, il nome Amiga, parola spagnola per "amica", fu scelto proprio per stare davanti a Apple in ordine alfabetico nelle liste di produttori di computer. Non ricordo dove ma da qualche parte lessi che in una sorta di selezione darwiniana di nomi pure l'ordine alfabetico conta e i nomi che iniziano per A solitamente sono più fortunati di quelli che iniziano per Z. In questo caso non sembra che la regoletta abbia contato, ma i motivi saranno altri, perché il prodotto era centrato per il tempo e pure il modo di presentarlo ha fatto scuola a suo modo. Guardatevi questo video con Warhol!

sabato 12 settembre 2015

Apple Pencil e la nuova estetica del naming

Non è incredibile che l'azienda che decise coraggiosamente (per l'epoca) di chiamarsi "Mela" oggi chiami i propri prodotti - concedete le goffe traduzioni a solo scopo esemplificativo - "iTelefono" o "Apple Orologio" o "Apple Penna"? Una delle poche certezze che trovavo ovunque nel 2001, quando mi accingevo a preparare la tesi di laurea sul naming, era che se produci laptop è bene che tu non chiami il tuo brand Laptop e se produci anelli è meglio che tu non chiami la tua marca Anello (a dire il vero, ed è questa una cosa inquietante, l'esempio che memorizzai parlava proprio di una penna). Eppure la stessa Apple ha invertito le regole, non senza una nuova versione del coraggio che fu, e al recente Apple Event settembrino è arrivata la Apple Pencil. Incredibile, però. Sembra l'altra faccia del coraggio di essersi chiamati "Mela", come a ribadire che continueranno a chiamare nuovi prodotti con il loro nome da dizionario, senza nemmeno il prefisso "i-" davanti. Queste attribuzioni di nomi comuni, comunissimi, ai nuovi prodotti dell'azienda di Cupertino rappresentano a mio avviso una curiosa nuova estetica del naming: con un testacoda siamo passati dalla creatività e lateralità del nome applicata a prodotti più o meno creativi alla banalità del nome applicata a prodotti che si presentano sempre come altamente innovativi e in grado di resettare ogni volta l'esperienza del consumatore. Sottotraccia rilevo, almeno nel medio periodo, quasi la volontà di riscrivere le regole linguistiche e di percezione del mondo che ci circonda con i suoi oggetti, risemantizzarlo, con un piglio sicuramente coraggioso, come detto, ma a tratti sfrontato, totalizzante, quasi emblematico di uno strisciante pensiero unico. Lo scrivo qui sapendo di essere impopolare, in un blog frequentato anche da chi lavora in agenzie pubblicitarie e che quasi sicuramente starà leggendo queste righe in compagnia di una mela smangiata e luccicante con una fogliolina sopra orientata in senso di crescita.

domenica 6 settembre 2015

Nascondini ovvero la forzatura del plurale

Mulino Bianco, si sa, nel naming ha fatto scuola, sin dal nome "Mulino Bianco" stesso. Ricordo che doveva chiamarsi "Mulino" soltanto il brand di Barilla, ma poi da ricerche qualitative emerse come la parola "Mulino" potesse contenere anche non graditi rimandi all'impurità e allora si rese tutto più pulito con l'aggiunta dell'aggettivo "Bianco", asettico quanto basta a garantire pulizia e evocativo all'occorrenza. Il caso fece scuola, ma nei nomi Mulino Bianco è sempre attiva e interessante da analizzare. Ultimamente escono spesso nuovi prodotti e Banderas è impegnato ormai a tempo pieno negli spot. Il più recente lancio, i biscotti Nascondini, contengono nella loro anima, oltre al "cioccolato da mordere", anche una strana volontà di forzare il plurale di "nascondino". Ne emerge un nome familiare, giocoso ma allo stesso tempo inconsueto. Si conferma poi la tendenza al ricorso al plurale nei nomi di Mulino Bianco, un'abitudine interrotta in rari e interessanti casi, come quello del "Biscottone", già analizzato qui.