mercoledì 21 dicembre 2016

Servizi di naming in crowdsourcing: come vanno?

Provando ad analizzare come si erogano oggi i servizi di naming, si registra l'ascesa delle piattaforme di crowdsourcing. Mi riferisco ai siti che mettono in contatto la community dei freelancer desiderosi di offrire i propri servizi con tutte quelle realtà che necessitano di sviluppare, spesso in tempi assai rapidi, determinati progetti creativi. Due esempi per l'Italia? Il sito starbytes.it o 99designs.it. Ormai è noto come funzionano queste piattaforme: si lancia un contest attraverso un brief e la community dei creativi registrati letteralmente si tuffa e si scatena sul quel dato progetto, sia questo un nuovo logo, un packaging, la copertina di un libro o anche un naming. Ma rimaniamo al nostro naming. Sul versante delle aziende questo genere di servizi apre le porte ai seguenti ipotetici vantaggi: possibilità di attingere a una creatività vasta e diffusa, tempi rapidi, grande quantità di progetti ricevuti in poche ore e quindi ampiezza di scelta. La realtà, il più delle volte, è però sintetizzabile anche in altri termini, piuttosto semplici: il prezzo assai più contenuto. Premesso che un tariffario storico del naming è difficile da costruire, possiamo dire che troverete oggi aziende molto famose, le quali un tempo potevano pagare cifre importanti per naming altrettanto importanti, che arrivano a pagare appena qualche migliaio di euro per progetti di naming strategici. Non mi metto a dare giudizi di merito sulle aziende che si avvalgono di queste piattaforme o sui professionisti che arrotondano o addirittura campano offrendo i propri servizi. Si tratta della classica situazione "piatta" resa possibile dalla configurazione odierna della rete e se questa soluzione sta sul mercato può avere delle ragioni più che fondate. Sarei piuttosto molto curioso di conoscere il punto di vista di chi offre servizi di naming secondo altre modalità, lontane dal crowdsourcing, e capire cosa pensa di queste piattaforme che inevitabilmente diventano concorrenza. Parallelamente sarebbe curioso raccogliere qualche testimonianza di aziende che si sono avvalse di simili servizi. Insomma, penso sia l'ora di focalizzare l'attenzione e capire cosa va e cosa, eventualmente, non va col naming in crowdsourcing.

martedì 13 dicembre 2016

Il panorama dei naming di Decathlon

Vi sarà capitato di camminare dentro un negozio Decathlon: l'azienda francese proprietaria dell'omonima catena di negozi ha  modificato il modo di intendere la distribuzione di articoli sportivi nel mondo, senza tralasciare una propria oculata politica di marca (di marche, per essere più aderenti alla realtà). Accanto alle marche note, Decathlon ha saputo affiancare e imporre nei propri negozi tutta una serie di proprie "marche-passione" raggruppate per aree tematiche. Alcune di queste marche, come ricordava Giampaolo Fabris, si possono considerare ormai marche a tutto tondo e solo una visione un po' miope continuerebbe a relegarle nel mondo delle "private labels". Quechua, solo per fare l'esempio più noto, è infatti ormai una marca con un grado di notorietà elevato e un punto di riferimento per i consumatori di prodotti dell'universo montano e outdoor in generale. Ma lo stesso si potrebbe iniziare a dire di Nabaiji per i frequentatori di impianti natatori. Sono diversi i nomi di marca che Decathlon ha via via proposto per le proprie aree tematiche delle marche-passione e da una rapida occhiata si può evincere che il lavoro di naming è stato fatto in modo egregio e accurato: Artengo - Sport con racchetta (tennis, badminton, squash ecc...), Domyos - Fitness, arti marziali e sport a contatto, Fouganza – Equitazione, Geonaute – Elettronica, Kipsta - Sport di squadra, Inesis – Golf, Kalenji – Corsa, Newfeel – Walking, Geologic - Sport e giochi di precisione, Tribord - Sport acquatici, Quechua - Escursionismo e alpinismo, Wed'ze - Sci e snowboard, B'twin – Ciclismo,  Simond - Arrampicata e alpinismo, Caperlan – Pesca, Solognac - Caccia e tiro con l'arco, Oxelo - Roller e skate, Aptonia - Nutrizione e cure, Orao – Ottica, Nabaiji - Nuoto. Come notate, si riscontrano una certa varietà, diversi sapori, certe ricorrenze (ad esempio l'apostrofo in Wed'ze e B'twin) o ocerti finali comuni in -ji che concorrono a creare un universo di senso coerente e in espansione. Insomma, non chiamatele soltanto private labels.
 

lunedì 5 dicembre 2016

"The New Yorker" sul brand naming (un articolo di James Surowiecki)

Curioso notare che la nota rivista americana "The New Yorker" si occupi di brand naming. Lo fa nel mese di novembre, un paio di settimane fa per la precisione, con un articolo di James Surowiecki che spesso scrive nella pagina di finanza. L'articolo si trova a questo link e ricorda aspetti tutto sommato noti a chi bazzica i territori del naming. Curioso questo passaggio, dove si ricorda un tentativo di renaming di United Airlines di cui non ero a conoscenza, e un appunto sul neoeletto Trump: "In the nineteen-eighties, United Airlines tried to turn itself into a diversified travel company called Allegis. The move was a fiasco. No less an authority than Donald Trump (whose faith in brand-name power is total) said that the name sounded “like the next world-class disease.”

martedì 29 novembre 2016

Se produco duck col nome dcuk

Se produco penne è bene che la mia azienda non si chiami Penne o Penna, se produco fisarmoniche è bene che la mia azienda non si chiami Fisarmonica o Fisarmoniche. dcuk è un'azienda familiare di Totnes (Devon) specializzata nella pruduzione di anatre e di altri animali di bambù realizzati e dipinti a mano. La specializzazione sulle anatre è forte, tant'è che è facile anche in Italia trovare soprattutto le sue anatre, ad esempio nei negozi che vendono prodotti e decorazioni per la casa o negli ormai famigerati "garden center". lI naming dell'azienda dcuk è assai curioso perché si fonda sulla specializzazione primaria (duck) ma grazie all'inversione delle due lettere centrali ricava un nome fortemente legato al prodotto e alla "categoria" principale senza legarsi esclusivamente a quella categoria. Contestualmente suggerisce la provenienza con il finale in -uk. Credo che tale naming rappresenti un esempio delle molte risorse "semplici" del naming e di quelle situazioni in cui un piccolo accorgimento può dar vita a un naming efficace, breve e in grado di posizionare prodotto principale e azienda.

martedì 22 novembre 2016

noon.com, il nuovo e-tailer che viene dall'Arabia

Hanno scelto un nome di sole quattro lettere, palindromo e con significato preciso e diffusamente noto in lingua inglese per il nuovo ecommerce del lusso proveniente dalla penisola arabica. V'è anche il fondo sovrano saudita dietro il lancio di noon.com, nuova piattaforma di ecommerce che farà concorrenza a realtà già consolidate come Amazon o Yoox e debutterà a breve. Dal sito "Pambianconews" apprendiamo che "l’e-tailer sarà disponibile in prima battuta in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti e, in seguito, in Egitto. Inizialmente il sito, che dovrebbe essere lanciato nel gennaio 2017, avrà 20 milioni di prodotti in vendita." Dal punto di vista del naming, che in fondo resta l'unico a interessarci veramente qui, le osservazioni preliminari sono già espresse in apertura di post. Con un nome come "noon" sembra rafforzarsi l'interesse e la tendenza a un web naming contraddistinto da una simmetria interna (si pensi anche a opodo.com). Il logo che vedete in alto non esaspera questa simmetria, dal momento che la lettera "n" non è giocata in riflessione rispetto a un asse centrale. Tuttavia, a un occhio allenato, non sfuggono né il palindromo né la simmetria visiva che viene a crearsi.

martedì 15 novembre 2016

Opera, il naming dell'organizzazione di frutticoltori italiani specializzati esclusivamente nella coltivazione delle pere

Vedendo lo spot televisio di Opera ho pensato che si trattasse di un naming efficace. Che cos'è Opera intanto? Nel sito si legge: "La Cooperativa: unici, come la nostra Opera." E poi: "Opera è l’unica Organizzazione di Frutticoltori italiani specializzata esclusivamente nella coltivazione delle pere. Per questo Opera è speciale e ha l’obiettivo di diventare il punto di riferimento per tutta la filiera della pera in Italia [...]". La pera è un frutto molto buono, almeno per chi scrive, però soffre, rispetto a potenziali "concorrenti", di un certo immaginario forse più debole. Voglio dire che Guglielmo Tell doveva colpire con la sua freccia una mela e la storia del Genesi o di Biancaneve ci è nota e li si parla di mele e non di pere (e questo ha un suo portato, anche quando arriviamo a un supermercato). Tuttavia, se prendiamo un libro davvero fondamentale della nostra storia, Pinocchio, troviamo invece delle pere e non dovremmo dimenticarlo. E poi il mondo è cambiato, anche nei gusti, e se una pera è buona può benissimo battere una mela (tutto ciò se vogliamo continuare a vedere i due frutti come antagonisti nel banco della frutta, anche se non è necessario vederli come tali). Anni fa nessuno si sarebbe aspettato l'ascesa inarrestabile della rucola e un mio amico voleva addirittura farci la tesi di laurea su questo tema. E oggi potremmo dire cose analoghe dello zenzero, per esempio, che sembra conoscere un'altra irresistibile ascesa. Il naming Opera, semplice, breve e efficace, rimanda al frutto rimanendo tuttavia aperto a altre evocazioni, tra l'altro ben sfruttate dalla comunicazione.

mercoledì 9 novembre 2016

"Trump" e "to trump"

trump (noun, verb). Qualcuno avrà già pensato e invitato a una semplice riflessione in merito, comunque ho voluto rivedere i significati della parola-cognome del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d'America. Qui il Merriam-Webster, qui Wordreference, qui il Collins. C'è un po' di tutto, non anticipo nulla e vi invito solo a una rapida visione dei link.

giovedì 3 novembre 2016

"Clothes for humans" di United Colors of Benetton

Torniamo a parlare di payoff e headilines, ovvero di quei microtesti che accompagnano il brand name e che ricadono in quella macroarea che, assieme al naming, si definisce con l'espressione "verbal branding". Alla prima visione di uno spot della serie "clothes for humans" di United Colors of Benetton ho pensato che l'azienda volesse indirettamente riferirsi anche agli abiti per non-umani. Il primo collegamento sono gli animali, ai quali non di rado l'uomo fornisce un vestito o un cappottino (si pensi ai cani). Non credo tuttavia che l'azienda di Ponzano Veneto abbia in programma uno stretching che guardi alla produzione e commercializzazione di abiti per non-umani. Il nuovo "motto" ha quindi due motivi di interesse: 1) contiene la parola "clothes" al proprio interno, quindi un rimando concreto al prodotto, cosa che solitamente si evita nei payoff dove si cercano parole che evochino un orizzonte ma non una categoria merceologica (si pensi al paradigmatico payoff "connecting people" di Nokia) e 2) presenta questa anomala e a tratti tautologica parola "humans" al proprio interno. A ben vedere, "clothes for humans" è ciò che fa qualsiasi azienda di abbigliamento sulla faccia della terra. Tuttavia, inserito all'interno dei circuiti di comunicazione dell'azienda veneta, della sua storia, del suo "United Colors" il "clothes for humans" assume delle sembianze originali e inedite, dei riverberi che tentano di confermare un posizionamento di megabrand globale in quello specifico mercato dove il brand Benetton è nato e si è affermato. Per molti versi è un rafforzativo, tautologico e pleonastico come molti rafforzativi in uso nel linguaggio, del cosiddetto "core" dell'azienda. L'effetto è però assai curioso in epoca post-human e senz'altro è da tener monitorato nella sua evoluzione. Evidente infine il richiamo alla genericità di "humans" in senso di "indumenti per tutti gli esseri umani", coerentemente con lo storico posizionamento della marca.

mercoledì 26 ottobre 2016

Risorse: il blog di Lexicon Branding

Pensando a blog sul naming vi invito a tenere un occhio sul blog di Lexicon Branding. L'agenzia americana, più volte nominata in queste pagine, si occupa essenzialmente di naming e verbal branding e, da quello che posso vedere, lo fa nel migliore dei modi, con una consapevolezza raramente eguagliata. Ovviamente, come ripetuto altre volte, quella del naming non è una scienza, bensì una pratica di creatività votata alla riduzione del rischio. Per perseguire questo obbiettivo, le strategie e competenze messe in opera da Lexicon Branding appaiono sempre ai vertici. L'agenzia, nota per aver creato tra altri il nome dei panni catturapolvere Swiffer, nel proprio sito tiene un blog aggiornato di frequente a questo indirizzo. Molti post riguardano il settore dell'auto e questo aspetto fa riflettere, pensando con l'ottica del piano editoriale del blog e della creazione di traffico su questo: sembra che solo i budget di naming messi a disposizione dell'industria automobilistica possano garantire la sopravvivenza di strutture altamente specializzate nel naming. Ancora non sappiamo se tornerà il momento in cui la voce "naming" tornerà a essere una voce significativa e scorporata nei budget marketing delle aziende, possibilmente non mischiata ad altre voci. Solo in questo modo la percezione generale del problema del nome e del problema del nome nel tempo e nello spazio tornerà sotto i giusti riflettori.

giovedì 20 ottobre 2016

Il caso di dissapore.com

Curioso il caso del sito dissapore.com. Nel grande mondo del "racconto del cibo" questo sito si è fatto largo ed è diventato assai popolare per alcune chiavi di comunicazione innovative che ha introdotto e che non spetta a me elencare. Si tratta a tutti gli effetti di un sito di comunicazione enogastronomica, come potrebbe essere ad esempio Gambero Rosso. La cosa curiosa, a mio avviso, sta proprio nel nome, e non dimentico che ai nomi questo blog è dedicato. "Dissapore" da un lato rimanda a "di sapore" ma dall'altro evoca chiaramente qualcosa di spiacevole, il "dissapore" dei rapporti interpersonali appunto, con accezioni che vanno ben oltre la sfera enogastronomica. Ho cominciato a notare questo sito anche in alcune vetrofanie di gelaterie artigianali e l'effetto, almeno per le gelaterie che riportavano questa fonte di giudizio e il relativo sito web, era per certi versi spiazzante. Naturalmente per chi conosce e bazzica la comunicazione enogastronomica tutto questo ha un senso, ma per un frequentatore di gelaterie che non conosceva il sito poteva risultare bizzarro vedere citata come fonte autorevole qualcosa che rimandava sì al sapore, ma non necessariamente al "buono".

lunedì 10 ottobre 2016

Il "non sapone"

Stavolta non vi voglio parlare di un nome di prodotto o di marca, bensì di un nome comune e di una sorta di attività di renaming del nome comune mediante negazione. Capita infatti che nella corsa al naturale-biologico e eco-friendly si incappi in un prodotto che si definisce e si presenta come sapone ricorrendo tuttavia a una negazione: ecco allora il "Non sapone", naturalmente "biologico" e naturalmente "eco", come si comunica con una certa ridondanza nell'etichetta. Sotto certi aspetti è un'operazione di naming anche questa, un renaming bizzarro della categoria merceologica di riferimento (quella dei saponi, compresi quelli liquidi), una risemantizzazione della categoria di prodotto. La cosa strana è che si prova ad affermare negando. Il ragionamento sottostante pare essere questo: dal momento che la categoria di riferimento e l'immaginario di riferimento sono consolidati e non scalfibili presentiamo un prodotto che "fa le veci" del sapone (nel caso della foto del sapone liquido) definendolo "non sapone". A pensarci si poteva ricorrere a una parola neutra come "detergente" ma non sarebbe stata la stessa cosa e magari, a livello connotativo, la parola "detergente" è già compromessa con valori poco naturali e poco "biologici". Certo che qualcosa che si chiama "Non sapone" può, ontologicamente, essere qualsiasi cosa che non è il sapone. A voi la scelta.

martedì 4 ottobre 2016

Origine del naming Wacom

Il pollice non è diventato la nuova penna o matita. Nell'insieme nato dall'intersezione tra scrittura tradizionale a penna (o disegno a mano libera) e nuovi dispositivi elettronici si colloca quello delle tavolette grafiche (o graphic tablets, forse gli unici tablet davvero utili...). A molti sarà capitato di depositare una firma su una tavoletta digitale. La firma restava uno dei principali baluardi della scrittura a penna, tanto che non credo sia esagerato affermare che molte persone oggi forse usano la penna solo per deporre una firma. Non è inverosimile pensare che se avete depositato una firma da qualche parte abbiate utilizzato una tavoletta grafica di Wacom, azienda giapponese che detiene una posizione di leadership indiscussa in questo settore merceologico, tanto da vantare quote di mercato davvero vertiginose. Mi sono chiesto da che cosa provenisse quel nome così tradizionale nel finale in -com e tuttavia così curioso nell'accostamento con l'iniziale Wa-. La pagina italiana di Wikipedia relativa all'azienda giapponese afferma che il nome è composto dai termini giapponesi "Wa" (armonia, cerchio) e "Komu" (computer).

martedì 27 settembre 2016

Origine del nome Vevo

Non credo che "vevo" abbia bisogno di presentazioni. Si tratta di una delle piattaforme di intrattenimento video e musicale tra le più note, ora controllata da ben cinque colossi (a Sony Music Entertainment, Universal Music Group e Abu Dhabi Media Company si sono aggiunti anche Google e Warner Music Group). Recentemente il logo è stato reso più spigoloso a seguito di restyling e si è giocato con le simmetrie tra le lettere e con cerchi e triangoli rovesciati, da sempre alla base della grafica. Parliamo di un'azienda nata nel 2009 e diventata presto brand globale. Pensando al nome balza all'occhio la brevità, visto che lanciare un brand planetario di sole quattro lettere sta diventando un'impresa proibitiva. Naturalmente, va da sé, che chi lancia questi brand pensa anche a un dominio corto .com, per il quale sarà disposto a sborsare, se già registrato da altri. Il nome "vevo" (pronunciato con la "i") presenta delle caratteristiche interessanti a livello iconico grazie alla ripetizione della lettera "v" (simbolo anche di vittoria) e nel caso italiano arriva persino a toccare delle interessanti evocazioni "vitali". Ma che cosa significa il nome "vevo"? Nella ricerca che ho fatto, pare che la ricerca di naming sia stata affidata a un'agenzia di branding che ha proposto una short list di una decina di nomi. Pare sia piaciuto subito "vevo" anche per la possibilità di poter significare una cosa semplice e coerente con la mission. Che cosa? Video evolution.

martedì 20 settembre 2016

Scegliere il titolo di un romanzo

Il romanzo rappresenta il prodotto più smerciabile in ambito editoriale, assieme a certa saggistica. Si sa che il titolo è in fondo il naming del prodotto-romanzo e pertanto va scelto con cura, in un lavoro che vede coinvolti autore, editore, editor ed eventualmente altre persone che si possono incontrare nella filiera. Anche quando si traduce un romanzo si compie una scelta di naming, perché non è detto che sia scontato ricadere sempre nella stessa scelta consolidata dalla tradizione oppure in un calco del titolo originale. Recentemente ad esempio si è discusso del caso di Thomas Mann, la cui "montagna incantata" è diventata La montagna magica. Altre volte, un titolo celeberrimo come il Chiedi alla polvere di John Fante sembra riverberarsi nel recente Chiedi alla luce di Tullio Avoledo. Passando al recinto dei romanzi italiani e all'industria a questo legata, sarebbe molto interessante procedere a un'analisi statistica della struttura dei titoli dei romanzi all'interno di un dato universo di editori. Se di primo acchito verrebbe da dire che non esistono regole, dall'altro questa analisi potrebbe mostrare certe tendenze più o meno consce nei processi di titolazione. Ad esempio, a me piacerebbe verificare la percentuale di occorrenze della struttura 

ARTICOLO
+
SOSTANTIVO
+
PREPOSIZIONE (SEMPLICE O ARTICOLATA)
+
ALTRO SOSTANTIVO. 

Mi pare sia molto gettonata, ma potrei sbagliarmi. Resta che titolare è il peculiare naming di questa industria e come tale possiamo avvicinarlo.

sabato 3 settembre 2016

A Tesla suggeriscono di togliere "Motors" dal company name: la brevità che allarga la percezione

Il nome Tesla è diventato via via sinonimo di azienda che s'affaccia sul mercato della sostenibilità energetica non solo attraverso le auto elettriche a elevate prestazioni. Recentemente, dopo l'acquisizione dell'azienda SolarCity da parte di Tesla Motors Inc., si è parlato dell'opportunità di abbandonare la dicitura "Motors" nel company name principale. Se così fosse, l'azienda giungerebbe a chiamarsi verosimilmente e semplicemente Tesla, dal cognome del noto inventore di origini croate ma naturalizzato statunitense Niklas Tesla. Se ne legge anche in questo articolo. In questo caso parliamo di company name, ovvero quello che perlopiù leggiamo nelle cronache finanziarie (per molti Tesla è già Tesla e basta), ma è evidente come un nome composto possa trovare giovamento da una abbreviazione o elisione di un elemento. Quando una denominazione delimita troppo la percezione può diventare stretta a una azienda che afferma di avere diverse direttive di sviluppo, non solo nel settore automobilistico. Si tratta di una vecchia regola generale del naming da non perdere di vista.

giovedì 25 agosto 2016

Acquistare parole-dominio per poi rivenderle come nomi di brand (ovvero brandable business names and domains for sale)

Chi si occupa di naming, ma anche chi è alla ricerca di un naming "veloce", sarà capitato in siti internet che si propongono come marketplace di nomi e domini al contempo, insomma di parole-dominio "brandizzabili" già pronte per l'uso in rete (anche se non verificate legalmente relativamente a un settore merceologico). Questi marketplace possono avere caratteristiche e qualità diverse, ma il denominatore comune è che a tutti gli effetti operano come siti di ecommerce nel mercato strano dei servizi di naming e propongono già, in anticipo, una lunga serie di parole-nome registrate come dominio internet (.com è ovviamente l'estensione più gettonata), qualcosa da acquistare come un libro o un paio di scarpe, infilare in un carrello virtuale, quindi pagare. Alcuni di questi si attrezzano a proporre il nome già vestito di un logo e addirittura suggeriscono in quale settore mercelogico il nome-dominio che propongono potrebbe funzionare bene (ad esempio nel settore alimentare, farmaceutico o dei servizi bancari). Ovviamente si tratta di un e-commerce a tutti gli effetti ed è curioso osservare l'oscillazione dei prezzi perché un prezzo alto potrebbe comunicare che il venditore già percepisce quella data parola-dominio come un buon nome in potenza. 

Mi pare evidente che questo genere di realtà trovi la propria ragion d'essere in una serie di fattori concomitanti:

1) la necessità che un naming nasca già disponibile per la registrazione di dominio (e quindi si è pensato bene di rovesciare il problema);
2) velocizzare i tempi di selezione e acquisto;
3) favorire un modello rapido di compravendita (ecommerce, a tutti gli effetti);
4) fornire un supporto a certe aziende che mancano di immaginazione;
5) determinare in modo certo e anticipato la transazione e il prezzo del naming (chi si occupa di naming sa come il prezzo possa essere una questione interminabile e frustrante).

Insomma, ecco il naming rovesciato. Anziché partire da un concept di prodotto o brand da nominare si acquista invece una parola-nome già pronta a essere dominio e, se si vuole, già vestita di logo e colori. Un esempio che farà sorridere gli amanti del gruppo islandese Sigur Ros? Brander.xyz (e manco sapevo esistesse il dominio .xyz) descrive il nome "Siguros" come "A hint of fun, a lot of energy, and a great deal of style…this domain name is perfect for a multitude of niches & markets. With a classy and very versatile logo to match, this name is certainly one of a kind. Entertainment, recreation, music, sports…this domain goes with literally everything."

Altri esempi di siti del genere? Eccoli elencati di seguito. Buona navigazione e, se vi avvarrete di questi siti, buoni acquisti.

www.brandbucket.com
novanym.com
www.brandroot.com
www.branddo.com
www.catchy.com (in quest'ultimo si propone un nome, "nuta", già vestito di un logo su cui Nutella potrebbe trovare da ridire...)

mercoledì 17 agosto 2016

Naming rights degli stadi: Camp Nou al Qatar?

Sempre più in vista è il naming per quanto afferisce alle problematiche dei diritti di denominazione di importanti impianti sportivi (a tutti ad esempio può venire in mente l'Allianz Arena di Monaco di Baviera). In buona sostanza siamo ben lontani dai tempi in cui i nomi degli stadi evocavano imprese o giocatori leggendari e sempre più si fa strada la battaglia e l'opportunità dei naming rights di un impianto, ovviamente legato a un qualche sponsor. Di recente abbiamo letto che il celeberrimo Camp Nou di Barcellona potrebbe cedere i diritti di denominazione al fondo sovrano del Qatar, già coinvolto nella sponsorizzazione dei blaugrana. Denominare un impianto sportivo significa vincolare un nome di un brand a tutte quelle occorrenze in cui quell'impianto è chiamato in causa (e non sono poche) e significa anche creare un collegamento tra l'aspetto emotivo che negli impianti ha luogo (il tifo, le emozioni sportive ecc) e quel dato brand. Insomma quella della denominazione di luoghi che diventano landmark della società contemporanea mi pare una partita appena incominciata. 

(Qualche notizia in più sul nuovo Camp Nou qui.)

mercoledì 3 agosto 2016

Hyundai e il probabile abbandono della nomenclautra in "i"

Avete presente la nomenclatura delle auto Hyundai? i10, i20, ix20, i30, iw40 ecc. Stando a questo articolo, è propabile che questo approccio al naming scompaia nei prossimi tempi. Non è la prima volta che nel rilevante settore del "car naming" si ondeggia tra naming alfanumerici e naming "pieni e rotondi" oppure tra una armonizzazione e convivenza dei due sistemi di denominazione. Renault ad esempio un tempo era tutta sbilanciata sui numeri e non è escluso che ci ritorni, magari quando qualcun altro ne uscirà. Oggi però non mi pare di ci sia un solo modello di Renault che presenta una cifra nel nome. Citroën, Audi, Peugeot, Mercedes o Bmw sono tuttora fortemente sbilanciate nel numerico, magari accompagnato da una lettera. Fiat, presa dal recupero del vintage e della propria heritage (allora mi chiedo quando una nuova Uno? Tempo fa avevo visto delle foto della nuova 127...), fa convivere nomi numerici come 500 con nomi "tondi e pieni" come Tipo o Panda. 

Credo sia interessante osservare queste oscillazioni nei sistemi di nomenclatura delle auto. Penso che il loro successo o abbandono abbia molto a che vedere con il traino del brand principale e con la strategia di fornire "personalità" ai singoli modelli oppure con quella di imporre prima la "mother brand". Non credo comunque si possano trarre regole e principi generali sul "car naming" alfanumerico o su quello fatto di parole. Più semplicemente credo sia interessante ascoltare e capire le diverse motivazioni che fanno propendere ora per una strada ora per l'altra.

martedì 26 luglio 2016

L'illuminator "Orgasm" della Nars e sul funzionamento di certi nomi

I giorni scorsi Luisa Carrada, che non dovrebbe aver bisogno di presentazioni presso un pubblico che si interessa di scrittura e parole ma di cui ricordo ancora una volta l'interessantissimo sito "Il mestiere di scrivere", chiedeva via Twitter a Linda Liguori e al sottoscritto se secondo noi "i nomi brutti funzionano". Rimandava a questo articolo apparso su "Racked". L'articolo parla di diversi aspetti e si interroga sui nomi che superano il confine del buon gusto (in altri tempi forse si sarebbe parlato di "decoro"). Si tratta di un pezzo interessante e invito a leggerlo. In merito alla domanda, cioè sul "funzionare" dei nomi brutti, non credo vi sia una risposta univoca. Quello che penso però è che sia in atto una battaglia di visibilità spesso disperata che si gioca ovviamente (e inizialmente!) anche con nomi ad effetto, apparentemente coraggiosi. Ma al di là di questo, lo spunto interessante di Luisa Carrada è utile per rimandare a un concetto semplice quanto spesso dimenticato: nominare è anche un'azione sociale e politica, quindi ha peso e rilevanza. Per tanti versi l'azione di naming è ideologica ed ha evidenti ricadute sociolinguistiche. Tanto più un naming presenterà determinate derive nei conteninenti spesso imperlustrabili della connotazione globale tanto più sarà difficile controllarne tutte le sfumature. Di certo nomi come "Orgasm" della Nars (il prodotto nella foto) nascono da una decisione o provocazione che sta a monte (e non per una pericolosa scoperta connotativa che sta a valle, magari con lo sbocco del prodotto e del suo nome in un dato mercato/lingua dove si troverò a rivestire significati peculiari). 

Sarai curioso di sapere se l'effetto di un naming del genere sulle persone in target, a conti fatti, assomigli da vicino all'indifferenza.

lunedì 18 luglio 2016

Il lancio di un hashtag come mania di naming collettiva

Avete sentito Walter Zenga entusiasta, durante una partita dell'ultimo campionato europeo di calcio, affermare "adesso lancio un hashtag #diteciancorachesiamoscarsi"? Da interista, a me ha fatto sorridere. Un telecronista che lancia un hashtag durante il commento di una partita si improvvisa namer e in qualche modo prova a verificare facilmente la popolarità del suo lancio e suggerimento. Spostandoci da questo esempio, diciamo che da quando si è diffuso l'utilizzo di hashtag creativi - e con "creativi" intendo hashtag un minimo ricercati e elaborati, non scontati come potrebbe essere un hashtag riferito a un nome proprio di persona o luogo - si è diffusa parimenti una nuova "mania collettiva di naming". Tutto questo naturalmente non ha a che fare con il naming tradizionalmente inteso, tuttavia è un fenomeno abbastanza significativo da seguire per chi si occupa di naming e "coauguli di parole" attorno a un "cancelletto". Anche da questi nuovi microtesti quali sono gli hashtag potrebbero infatti giungere aspetti e riflessioni interessanti per chi si occupa di naming.

martedì 12 luglio 2016

Attenzione a prefissi e suffissi nel naming

Ti chiami McDonavan e hai in mente di realizzare un'impresa bellissima nel campo della ristorazione oppure una bevanda strana e nuova che porta il tuo nome? Meglio lasciar perdere, a stare da quanto si legge anche in questo articolo. Il Tribunale dell'UE ha infatti sancito che, data la notorietà del marchio McDonald's, sarà possibile impedire la registrazione di marchi contenenti il prefisso "Mc" (o "Mac") nel settore alimentare. Al di là delle polemiche che si innescano ogni volta che esce una notizia riguardante McDonald's, i criteri sui quali si è basato il Tribunale per questa scelta sono essenzialmente i due soliti: 1) la necessità di non confondere i consumatori e 2) evitare che un nuovo marchio in un determinato settore tragga vantaggio (luce riflessa, potremmo dire) dalla notorietà di un brand globale come McDonald's. 

Cosa ricavare da questa scelta, al netto appunto delle polemiche? Che con prefissi e suffissi, così rilevanti e popolari nell'ambito del naming, rischiamo di complicarci la vita, perché questi vanno a inserire una variabile ulteriore nelle problematiche di valutazione di un nuovo marchio da registrare. Da un certo punto di vista "mc-" sono due lettere come la sequenza "ab-" o "ba-". Tuttavia, il fatto che vengano percepite e riconosciute come prefisso diventa fortemente connotante e quindi soggetto a ulteriore valutazione. Il prefisso o suffisso diventa insomma una variabile ulteriore di valutazione. Diversamente, la sequenza "ab-" o "ba-" all'inizio di un nome difficilmente verrà riconosciuta come un prefisso, anche se qualcuno potrebbe comunque sconsigliare l'adozione di un marchio che abbia delle sovrapposizione letterali cospicue con i marchi più noti. Anche alla luce di questa sentenza, la strategia nominale tipica ad esempio di Nestlé, con il prefisso "Nes-" che va a coniare tanti nuovi nomi all'interno della gamma, è fortemente premiante nella lunga distanza e diventa quasi una blindatura progressiva, un'appropriazione letterale e fonetica rilevante.

lunedì 4 luglio 2016

Naming e grattacapi, naming e opposizioni... ma poi succede un po' di tutto

Accando due auto per certi versi comparabili, Ford Ecosport e Kia Sportage. Certo, qualsiasi strategia punterà a dimostrare che un modello di auto è unico nella propria categoria, ma resta il fatto che quando una persona decide di acquistare un'auto si muove all'interno di auto paragonabili, spesso della stessa categoria (va detto che da un punto di vista di listino la comparazione non è possibile, ma stiamo guardando alla tipologia di automobile, per così dire "a prima vista" e d'impatto visivo). E nonostante si sia già detto delle difficoltà e dei grattacapi che crea il naming, nell'esempio che raduna i modelli Kia Sportage e Ford Ecosport notiamo che una parola importante ritorna nel nome di entrambi. Se nel caso della casa coreana "Sport-" è prefisso, nel caso della Ford "-sport" diventa suffisso. Anche se abbiamo presente tutti i discorsi che si possono fare e che abbiamo fatto sulle difficoltà di creare nomi massimamente distintivi, alla fine notiamo anche che due nomi contenenti "-sport-" in due auto potenzialmente concorrenti possono convivere. Al di là delle disquisizioni tecniche, tornando ai nomi, forse è proprio la grande diffusione della parola "-sport-" (una parola passepartout quasi, quindi non così distintiva) a rendere possibile questa compresenza di nomi.

lunedì 27 giugno 2016

Concerto, Sorento, Sonata o Cappuccino: l'italiano che piace in Oriente

Da Honda Concerto a Kia Sorento, da Hyundai Sonata a Suzuki Cappuccino (nella foto a lato): l'italiano non dispiace affatto alle case automobilistiche d'Oriente e spesso è stato chiamato in causa per la denominazione di nuovi veicoli. Al di là di una fonetica ritenuta gradevole (supponiamo questo, innanzitutto), sarebbe interessante scoprire perché di volta in volta delle parole della nostra lingua sono chiamate in causa per denominazioni così importanti (il car naming è spesso la vetta del naming, anche in termini di investimento, lo abbiamo ricordato più volte). Prendendo a esempio i quattro casi sopra citati notiamo che la musica, i luoghi e il cosiddetto stile di vita italiano nell'ambito food&drink sono le motivazioni che conducono verso scelte di naming italofone. Curioso però che in un settore a così netta vocazione "nazionalista" come si è spesso manifestato quello automobilistico, una casa costruttrice si rivolga a un'altra lingua per la denominazione. Ve la vedete una Renault con un nome dal suono germanofono oppure una Skoda dal suono francese? Di certo le cose stanno cambiando anche qui, e il binomio nazione-casa costruttrice avrà forse sempre meno senso...

lunedì 20 giugno 2016

Naming e opposizioni

Il variegato mondo delle "opposizioni" alla registrazione di un nuovo naming o le opposizioni a un naming già esistente e in uso fanno spesso discutere. Anche per l'azienda per cui lavoro ho notato talvolta opposizioni abbastanza bizzarre alle estensioni del marchio. Queste opposizioni spesso lasciano un punto di domanda gigante dipinto in faccia, nel senso che a volte lasciano davvero molta perplessità (ci si chiede perché si sia intervenuti con un'opposizione in situazioni abbastanza improbabili). Del resto, quando entra in campo il diritto il naming diventa una pratica abbastanza indecisa e scivolosa. Questo fatto è noto e chi lavora con studi legali sa bene che nessuno di questi si pronuncia mai in modo definitivo sull'adozione di un dato nome. I motivi di questa quasi perenne incertezza sono abbastanza ovvi, poiché non si possono prevedere eventuali azioni di opposizione che sorgeranno davanti a un nome, alla sua pronuncia e grafia, alle classi merceologiche in cui questo verrà applicato. In questo panorama di perenne incertezza ci si muove quindi cercando di abbassare il più possibile il rischio e la stessa pratica di naming, disidrata della sua componenete più creativa, potrebbe essere vista come una pratica volta ad abbassare il coefficiente di rischio di una data azione di denominazione. Se domani però arrivasse qualcuno che con un software o una banca dati fosse in grado di prevedere il coefficiente di rischio di un dato naming, tutto ciò potrebbe rappresentare un aspetto interessante e curioso per gli sviluppi futuri del naming stesso. Da un punto di vista informatico non mi sembra qualcosa di infattibile. Di sicuro le diverse anime del naming dovrebbero collaborare e linguistica, fonetica, marketing e diritto dovrebbero infatti concorrere alla creazione di un sistema informativo con simili caratteristiche. Utopia?

lunedì 13 giugno 2016

Buongrano, un altro naming semplice per Mulino Bianco

Una marca che ha fatto la storia del naming in Italia (sin dal nome "Mulino Bianco" stesso) propone un nuovo biscotto dal nome semplice, semplicissimo. Scendo un poco nel dettaglio. Il nome è ovviamente formato da due parole, aggettivo+nome. "Buon" è parte integrante del payoff di Mulino Bianco, "un mondo buono", mentre con "grano" compare (se non sbaglio per la prima volta) la parola che definisce una materia prima dentro un naming (qualcosa di analogo è successo con "Grancereale"). Tra le altre cose, va notato un trend al singolare dei nuovi nomi di Mulino Bianco, dopo decenni passati al plurale ("Macine", "Tarallucci, "Rigoli" ecc). L'aspetto curioso di tutta questa faccenda, a mio avviso, è la semplicità spinta di un naming come "Buongrano", che di certo non tenderebbe a farsi molto notare se applicato a un altro biscotto e che tuttavia, all'interno dell'ambiente di senso e della metafora pluridecennale del Mulino Bianco, e coaudiuvato ovviamente dalla campagna pubblicitaria di lancio del biscotto, riesce in qualche modo a farsi notare posizionando il prodotto in quell'universo di genuinità che il brand sostiene da tempo con la propria comunicazione. Che cose ne ricaviamo? Che ogni scelta di naming va rapportata a vari fattori, compreso quello della notorietà della marca-madre e del particolare momento storico in cui vive.

lunedì 6 giugno 2016

Origine del nome Adobe

La casa di software il cui logo è rappresentato a lato è tra le più note del pianeta. I più importanti software di fotoritocco, disegno o impaginazione come Photoshop, Illustrator o Indesign appartengono infatti ad Adobe. Ma che cosa significa "adobe"? Il dizionario Merriam-Webster ci dice: "1. a brick or building material of sun-dried earth and straw; 2. a structure made of adobe bricks; 3. a heavy clay used in making adobe bricks; broadly : alluvial or playa clay in desert or arid regions". Insomma, se ci fermassimo alla definizione del dizionario capiremmo ben poco di questo naming che ci riporta ai rossi mattoni o alle case con questi costruite. Serve allora rifarsi alla geografia dei fondatori dell'azienda: entrambi abitavano vicino a questo piccolo torrente della California chiamato appunto Adobe e divenuto il pretesto del naming dell'azienda. Resta il fatto che il significato da dizionario della parola si abbina bene a un'azienda che con i propri software complessi di elaborazione grafica ha consentito a moltissime altre persone di costruire, progettare, disegnare, impaginare ecc.

sabato 28 maggio 2016

Domini internet, rapido posizionamento organico e nomi descrittivi

Il perseguimento di un buon posizionamento organico sui motori di ricerca ha fatto sì che si sviluppasse tutta una serie di domini internet (e talvolta naming veri e propri) dati dalla combinazione di più parole chiave. Faccio un esempio che non ho verificato: se lancio un negozio di spazzolatura per cani è facile che possa affidarmi a un dominio internet come spazzolaturacani.qualcosa. Se l'attività ha come base operativa principale o comunque importante il sito web, questo potrebbe anche diventare un vero nome dell'attività, anche se si andrebbe contro i principi solidi del naming che vorrebbero evitati i nomi e le stringhe descrittive. Quel che però Internet ha introdotto, soprattutto per i business sempre nuovi che ambiscono a posizionarsi in pochissimo tempo, è proprio questa tendenza nel naming di dominio nonché talvolta nel naming vero e proprio. Si tratta di aspetti noti già da un pezzo. Non sono così convinto che questa strada sia sempre premiante. Certo, con un dominio come spazzolaturacani.qualcosa mi posizionerò alla svelta sui principali motori di ricerca con la ricerca tramite le parole chiave "spazzolatura+cani". Ad ogni modo sono chiari i moventi di queste scelte, mentre per i risultati e l'efficacia non mi pare esistano ancora delle certezze. Per finire e per restare aderenti al nostro esempio, se stiamo parlando di una catena o di un franchising di negozi spazzolacani allora va bene il nome di dominio descrittivo, se invece quel negozio ha un sito ma ha sede solo a Fontane di Villorba – ipotizziamo – tanto vale optare per un nome di fantasia. 

lunedì 23 maggio 2016

Il naming per Android N potrebbe creare un precedente rilevante

"#NameAndroidN" e poi "Stiamo cercando il nome da dare alla prossima versione di Android, "Android N". Hai in mente dei nomi golosi che inizino con la lettera N?" si legge nel sito ufficiale, qui. La ricerca è nota e c'è molto rumore attorno. Del resto c'era da aspettarselo. Sotto riporto anche il video dedicato. Il nome ha un vincolo e deve iniziare per N-. In sostanza è partita una grossa campagna di "crowd-naming" (la potremmo chiamare così?) dove chiunque puoi sentirsi namer inventando un nome candidato il cui unico vincolo è appunto la lettera N- come iniziale. Al passaggio successivo il namer può anche condividere il proprio suggerimento col resto del mondo. Cosa accadrà? Qualcuno dirà "l'ho suggerito io quel nome", ma tanto non v'è traccia di chi suggerisce cosa. Si tratta di un passaggio e precedente interessante per il naming, dove chi fa il naming passa davvero in secondo piano e dove un nome importante della futura quotidianità di molti potrebbe essere nato da un utente qualsiasi, con un cellulare in mano fermo al semaforo il lunedì mattina in attesa di entrare in ufficio, prima che quello o quella dietro suoni il clacson affinché si rimetta in marcia...


sabato 14 maggio 2016

Un lavoro di verbal branding: il payoff per Officina Media

Officina Media è una realtà della provincia di Treviso operativa in progetti di comunicazione. Ha sede a Susegana. Capofficina è Damiano Menegon, che mi ha coinvolto in vista del lancio del nuovo sito per un progetto di verbal branding: la costruzione del nuovo payoff. Nel caso specifico di una realtà operativa nei servizi e progetti di comunicazione il payoff può rivestire una funzione analoga a quella che offre nel mondo delle marche: descrivere, orientare, evocare, consentire e sostenere lo sviluppo dei progetti. E sono state queste le riflessioni alla base della ricerca e costruzione di payoff per Officina Media, che dopo alcune sessioni creative s'è diretta per "Chiavi per comunicare". La volontà è stata quella di legare il payoff al nome dell'azienda, laddove naturalmente "Officina" era la parola più caratterizzante. Scartate le strade che prevedevano l'utilizzo di parole come "strumento/i" (per eccessiva concorrenza) e "arnese/i" (per qualche dubbio sulla percezione e sulle associazioni con la parola "arnese") si è previlegiata la via che portava alla parola "chiave/i", intesa come attrezzo per serrare/aprire e soprattutto come attrezzo che permette di raggiungere un determinato fine e quanto serve a capire, a svelare qualcosa. Naturalmente anche l'accezione musicale di "chiave" ha concorso all'adozione del payoff.

domenica 8 maggio 2016

Il contesto e la pragmatica fanno la differenza nel naming (ad esempio Contrasto)

"Contrasto" potrebbe essere uno di quei nomi che semanticamente si tenderebbe a scartare, quantomeno in una "normale" sessione creativa di naming, per il semplice fatto che evocare un contrasto a partire da un nome potrebbe non essere una mossa azzeccata. Eppure il naming, che non è scienza esatta ma una pratica che si avvale di apporti teorico-scientifici da più discipline, ci mostra come la pragmatica e il contesto comunicativo facciano la differenza e ci soccorrano, spesso nella disambiguazione. Trattandosi di un nome notissimo con profonde radici nella fotografia, "Contrasto" vive benissimo il suo dato di realtà, rimandando a uno dei parametri fondamentali di regolazione in fotografia. Si tratta solo di un esempio, tra tantissimi altri possibili. Serve e mi serve a sdrammatizzare il piglio eccessivamente normativo che a volte il naming sembra prendere e a puntare il dito sulla pragmatica, talvolta ingiustamente dimenticata nel nucleo ibrido di discipline che concorrono nelle riflessioni teoriche sul naming. 

sabato 30 aprile 2016

Renault sceglie "Talisman" per il naming della nuova ammiraglia

In un momento propizio, tra dati di vendita del comparto che tornano incoraggianti e diesel-gate vari, Renault presenta la nuova auto-ammiraglia, cioè un'auto che va a competere in sostanza nel segmento E, quello dove solitamente dominano i modelli delle case tedesche. Si tratta di un segmento non tra i più vivaci, ma che comunque presenta una certa rilevanza, non solo in termini di immagine e reputazione. Di questi tempi si muove su questo segmento anche l'altra francese Citroën, che presenta C6. Nel caso di Renault leggiamo nella pagina Wikipedia dedicata a questo modello che "Il nome Talisman è stato ripreso da quello di una concept-car Renault presentata nel 2001 al Salone di Francoforte". Un naming che parte dal lontano quindi. L'alone semantico rimanda a un oggetto con proprietà magiche e soprannaturali. Da notare come ad un livello sonoro sia un nome molto vicino ad un altro nome della losanga (Megane).

lunedì 25 aprile 2016

Risorse: i 10 suggerimenti per il naming di Pennamontata

Ritorno a segnalare alcune risorse utili nell'ambito del naming disponibili in rete. Ha ormai qualche anno, ma questo articolo di Pennamontata conserva intatta una validità di fondo. A dire il vero l'intero sito-blog Pennamontata è costruito in modo assai utili per tutti quelli che si occupano di comunicazione. Per tornare al naming e al decalogo di Valentina Falcinelli e dei suoi collaboratori mi soffermerei in particolar modo su due punti: evitare gli acronimi (una vera e propria piaga, soprattutto nel settore museale, come già ricordato in altri post) e il suggerimento di parlare con chiunque dell'ipotetico nuovo nome. Prima di lanciare un nome nuovo è infatti utili metterlo all'opera, testarlo, saggiarne le prime reazioni, immaginarlo in contesti d'uso reali come una conversazione telefonica o un dialogo qualsiasi.

venerdì 15 aprile 2016

La lavatrice AddWash di Samsung

Un classico: dover aggiungere un capo a ciclo già iniziato. Talvolta potrebbe essere un problema. E dal problema Samsung ha creato un'opportunità di prodotto, un'opportunità di innovazione in una tipologia di prodotto dove diventa sempre più difficile innovare e anche una nuova opportunità di comunicazione, che si riverbera chiaramente in AddWash, il nome scelto. Il concetto di prodotto è abbastanza semplice e va a innovare non tanto sull'elettronica o su altri aspetti "difficili" (aspetti fra l'altro che sarebbero più in linea con il percepito della marca Samsung) bensì nel normale - e tecnologicamente più "povero" - oblò. La finestra frontale dell'oblò consente e facilita infatti l'aggiunta di un capo dimenticato (ma anche di detergente o di capi lavati a mano che necessitano solo di centrifuga o di risciacquo) a ciclo di lavaggio già iniziato. Mi sembra degno di nota anche il naming, visto che nel mondo delle lavatrici il nome di prodotto non gioca spesso un ruolo importante (si parla genericamente di lavatrici AEG, Miele, Bosch, Whirlpool ecc. e non tanto della lavatrice X della marca Y). Curioso che un'azienda leader dell'elettronica apporti un'innovazione considerevole non operando sull'elettronica stessa. E così, grazie a questa semplice idea di prodotto, come cantava Vinicio Capossela, "nel paradiso dei calzini si ritrovano tutti vicini"...

domenica 10 aprile 2016

Errori di naming nel settore automobilistico

Questo è il post da tirar fuori tutte le volte che si parla di errori di naming, con particolare riferimento al settore automobilistico (car naming). Il car naming, almeno all'epoca d'oro del naming (non che oggi i nomi non siano richiesti, anzi, solo che forse è diventato più difficile farne un business specialistico fiorente per chi offre servizi di naming) credo sia stato il sogno di tutte le agenzie specializzate nel dare i nomi ai prodotti e ai brand. L'auto rappresentava sicuramente il prodotto per il quale le aziende disponevano dei budget di naming più sostanziosi. Ciononostante si poteva miseramente fallire anche a nominare una nuova auto, e non c'è certo da stupirsi, visto che il naming non è una scienza, bensì una pratica che si avvale anche di apporti scientifici e che cerca di "ridurre il rischio" nel caso di una creazione di un nuovo nome. Questo post riassuntivo ci porta dentro un breve elenco, allungabile anche da parte dei lettori se lo desiderano, dove si trovano alcuni clamorosi flop del naming di auto. Ne ricordiamo alcuni, fra l'altro noti a tutti gli esperti, ma sempre "richiestissimi" da chi vuole sorridere per un nome davvero nato male: Mazda LaPuta (qualche problema in spagnolo), Mitsubishi Pajero (e anche qui qualche problema con lo spagnolo), Nissan Moco (sempre in spagnolo i problemi: "caccola"), Chevrolet Nova (e secondo voi cosa potrebbe voler dire in spagnolo, stavolta?), Honda Fitta (dispregiativo norvegese e svedese per una donna) e poi l'arcinoto caso di Fiat Ritmo, che nel Regno Unito rimandava direttamente al ciclo mestruale.

lunedì 4 aprile 2016

Quando Monopoli si è ripreso la Y?

Ero rimasto a Monopoli con la "i" finale. Poi ho notato che anche in Italia il brand è tornato a essere Monopoly, con la "y" alla fine. Ho cercato qualche notizia e visto che questo è successo all'altezza del 2009, quando è terminata la distribuzione da parte di Editrice Giochi per passare alla Hasbro. Questo semplice caso potrebbe servire a introdurre un argomento, ovvero la necessità o meno di tradurre un brand name. Allo stesso tempo rinvia ovviamente alla maggiore semplicità di gestire un brand globale con una sola denominazione, anziché tramite un portafoglio di nomi. Nel caso della traduzione italiana del brand name "Monopoly" in "Monopoli" c'è da notare come si preservò il suono a favore del mantenimento del singolare di "Monopoly". Naturalmente la gestione di un singolo brand name su scala globale semplifica di molto anche la gestione di licenze e "stretching", come nel caso raffigurato nella foto, dove al brand name originario vengono affiancati altri brand (operazione assai comune nel settore dei giocattoli): significa avere strutture nominali uniche e non una diramazione di strutture nominali diverse a seconda dei mercati di sbocco dei prodotti.

lunedì 28 marzo 2016

Quando il verbal branding è costruito su un pun memorabile: il brand blunder

A lato un esempio arcinoto di pubblicità costruita attorno alla doppia valenza di "to suck" ("succhiare, aspirare" e "fare schifo" nello slang). Il prodotto reclamizzato sono gli aspiratori della marca scandinava Electrolux. C'è poco da dire, si trattò di un'operazione coraggiosa nella quale non ravvisiamo più una certa "burocratizzazione" della pubblicità e della lingua della pubblicità odierna. C'è da notare anche la vicinanza sonora tra "sucks" e "Electrolux". In certi testi di marketing e pubblicità si parla ancora di questo come di un clamoroso errore di verbal branding, tuttavia è assai poco probabile che l'agenzia londinese che si occupò di questo memorabile messaggio pubblicitario (Cogent Elliot) abbia preso un granchio così madornale (brand blunder). Curiosa la torre di Pisa sullo sfondo dell'annuncio. In questa pagina di Wikipedia sono citati alcuni effettivi casi di brand blunder distinti dalle leggende metropolitane.

sabato 19 marzo 2016

alce naming blog su "Millionaire"

Ringrazio Maria Spezia per l'articolo dedicato al naming su "Millionaire". Il suo testo vuole essere un'agile guida per chi si trova a fronteggiare la necessità di un nome per un prodotto, una app, un sito o  una start-up (tali casi molto spesso si sovrappongono, perché trovare un nome per una app significa molto spesso trovarne anche il nome di dominio e sostanzialmente il nome di prodotto). Curiosa la segnalazione dello "Startup Name Generator". L'articolo si chiude con le cinque regole di Meerman. All'inizio si cita questo blog e chi lo cura. Capita, di tanto in tanto, che il naming susciti l'attenzione dei media. Naturalmente l'aspetto più gettonato sono i cosiddetti "naming errors", che non di rado strappano qualche sorriso. Trovate qui il testo integrale dell'articolo di Maria Spezia.

sabato 12 marzo 2016

Dopo Mondazzoli c'è Stampubblica

Le notizie sono anche una questione di naming. L'ho scritto più volte e lo ribadisco. Sono una merce fra le altre, una merce che viene spesso impacchettata e venduta con lo stesso nome da più aziende giornalistiche. Una peculiarità del naming di notizie è nella mancanza di una sorta di gara tra varie aziende giornalistiche a dare un nome "proprietario" a una data notizia. "Mucca pazza" era infatti "mucca pazza" più o meno per tutti e nessun giornale si distingueva per un naming originale e "proprietario" (per tutti c'era la variante scientifica "BSE"). Questo aspetto probabilmente si interseca con la dimensione pubblica della notizia. Ad ogni modo, venendo ai fatti di questi giorni, c'era da aspettarselo che dopo Mondazzoli arrivasse Stampubblica. Diciamolo, Mondazzoli era più efficace. Stampubblica sa un po' di forzatura creata per l'analogia di situazione che si è creata (non altrettanto analogo sembra stato lo strascico di polemiche). A lato vedete il titolo di un articolo apparso su "Il Fatto Quotidiano", qui. Si tratta di un titolo interessante, prevede ben due naming: oltre a "Stampubblica" c'è pure "l'operazione TO-RO", dalle sigle delle due città, che sa un po' di car naming, come quell'Alfa Mito che nel nome rendeva omaggio all'asse Milano-Torino.

venerdì 4 marzo 2016

Se si deve spiegare l'ortografia del nome siamo già a un passaggio di troppo

L'altro giorno un amico mi ha chiesto un parere sulla denominazione di una nuova attività commerciale alla quale sta pensando. Fermo restando che pressoché ogni attività commerciale si basa su un'insegna visiva che appunto insegna, fra le altre cose, come si scrive un nome, il caso esposto dal mio amico era il tipico caso in cui il nome è "tal dei taly", scritto però con la "y" al posto della "i". Questi giochi tra "y" al posto di "i" o, ad esempio, "k" al posto di "ch" sono possibili e frequenti, tuttavia ho fatto notare al mio amico che il nome a cui pensava, in un certo senso, partiva già zoppo, perché si doveva sempre spiegare nell'ortografia (come stava facendo lui al telefono) e questo toglieva immediatezza: insomma eravamo già a un passaggio di troppo. Da questo esempio non ricavo come regola generale che è sempre sconsigliato usare questi giochi grafici, tanto più che in certi casi possono dar vita a un esito interessante, però è da considerare questa possibile partenza zoppa di certi nomi, soprattutto quando il contesto è auditivo e non visivo.

Forse sarò sensibile a questi aspetti perché in gioventù suonavo in un gruppo musicale che si chiamava Apryl; non era il massimo star lì a spiegare ogni volta che si scriveva con la "y" e non con la "i" e che l'accento era proprio sulla "y" e non sulla "a", "a" che fra l'altro si leggeva proprio "a" e non "e". L'immagine sopra ritrae la copertina del nostro unico disco del 2002 uscito per Mellow Records, Alorconfusa, titolo che sta per "A loro confusa" e nel lasciarvi al brano che segue, "Nelle vesti di Adia", devo dirvi che il nome "Adìa" è piano e non sdrucciolo: insomma avevamo qualche problema coi nomi e i titoli!

Il nome del mio amico invece non era naturalmente "Tal dei taly" e mi accorgo ora che potrebbe pure essere un nome interessante per chi cerca la parola e il suono di "Italy" nel naming...

sabato 27 febbraio 2016

Il naming infelice dei "farmaci generici"

Chissà come si è imposta la dicitura "farmaci generici". A voler pensar male, uno potrebbe credere che sia stata avallata di chi farmaco generico non è. Ad ogni modo l'eziologia di un nome-etichetta non è quello che importa qui ora. La realtà è però che chi non sa che la Tachipirina è paracetamolo farà fatica a imparare nuovi nomi di farmaci equivalenti. D'accordo, ho scelto forse l'esempio più facile. Mi chiedo però: perché non si è imposta la dicitura più denotativa e meno connotativa, cioè "equivalenti"? Era così difficile favorire la dicitura "equivalenti" che comunque si trova anche nei documenti dell'agenzia del farmaco? Nelle persone più istruite ravviso ormai un certo gusto a imparare il nome di un principio attivo di un farmaco. La stessa pubblicità a volte non lesina informazioni a riguardo. Tutto questo insomma dovrebbe convergere verso uno scenario in cui la persona sa quello che compra e può comprare. Resta il fatto che vedere in farmacia dei poster che parlano di "farmaci generici" che non sono "farmaci qualsiasi" fa riflettere su quel naming-etichetta infelice per una categoria di farmaci che fa le stesse cose dei farmaci di marca. Si sa che siamo in un terreno delicato, finanziariamente importante, dove il naming e il branding hanno fatto la loro parte per decenni. Forse hanno fatto la loro parte anche in negativo, quando è stato il momento di adottare un nome-etichetta per tutta una serie di farmaci che il brand non lo avevano già costruito ma ai quali nessuno vieta di costruirlo, a partire dalla loro identità di "equivalenti" o "generici". Certo ci vorrà molto tempo e il tempo è denaro (spesso perso, in questo caso).