lunedì 28 marzo 2016

Quando il verbal branding è costruito su un pun memorabile: il brand blunder

A lato un esempio arcinoto di pubblicità costruita attorno alla doppia valenza di "to suck" ("succhiare, aspirare" e "fare schifo" nello slang). Il prodotto reclamizzato sono gli aspiratori della marca scandinava Electrolux. C'è poco da dire, si trattò di un'operazione coraggiosa nella quale non ravvisiamo più una certa "burocratizzazione" della pubblicità e della lingua della pubblicità odierna. C'è da notare anche la vicinanza sonora tra "sucks" e "Electrolux". In certi testi di marketing e pubblicità si parla ancora di questo come di un clamoroso errore di verbal branding, tuttavia è assai poco probabile che l'agenzia londinese che si occupò di questo memorabile messaggio pubblicitario (Cogent Elliot) abbia preso un granchio così madornale (brand blunder). Curiosa la torre di Pisa sullo sfondo dell'annuncio. In questa pagina di Wikipedia sono citati alcuni effettivi casi di brand blunder distinti dalle leggende metropolitane.

sabato 19 marzo 2016

alce naming blog su "Millionaire"

Ringrazio Maria Spezia per l'articolo dedicato al naming su "Millionaire". Il suo testo vuole essere un'agile guida per chi si trova a fronteggiare la necessità di un nome per un prodotto, una app, un sito o  una start-up (tali casi molto spesso si sovrappongono, perché trovare un nome per una app significa molto spesso trovarne anche il nome di dominio e sostanzialmente il nome di prodotto). Curiosa la segnalazione dello "Startup Name Generator". L'articolo si chiude con le cinque regole di Meerman. All'inizio si cita questo blog e chi lo cura. Capita, di tanto in tanto, che il naming susciti l'attenzione dei media. Naturalmente l'aspetto più gettonato sono i cosiddetti "naming errors", che non di rado strappano qualche sorriso. Trovate qui il testo integrale dell'articolo di Maria Spezia.

sabato 12 marzo 2016

Dopo Mondazzoli c'è Stampubblica

Le notizie sono anche una questione di naming. L'ho scritto più volte e lo ribadisco. Sono una merce fra le altre, una merce che viene spesso impacchettata e venduta con lo stesso nome da più aziende giornalistiche. Una peculiarità del naming di notizie è nella mancanza di una sorta di gara tra varie aziende giornalistiche a dare un nome "proprietario" a una data notizia. "Mucca pazza" era infatti "mucca pazza" più o meno per tutti e nessun giornale si distingueva per un naming originale e "proprietario" (per tutti c'era la variante scientifica "BSE"). Questo aspetto probabilmente si interseca con la dimensione pubblica della notizia. Ad ogni modo, venendo ai fatti di questi giorni, c'era da aspettarselo che dopo Mondazzoli arrivasse Stampubblica. Diciamolo, Mondazzoli era più efficace. Stampubblica sa un po' di forzatura creata per l'analogia di situazione che si è creata (non altrettanto analogo sembra stato lo strascico di polemiche). A lato vedete il titolo di un articolo apparso su "Il Fatto Quotidiano", qui. Si tratta di un titolo interessante, prevede ben due naming: oltre a "Stampubblica" c'è pure "l'operazione TO-RO", dalle sigle delle due città, che sa un po' di car naming, come quell'Alfa Mito che nel nome rendeva omaggio all'asse Milano-Torino.

venerdì 4 marzo 2016

Se si deve spiegare l'ortografia del nome siamo già a un passaggio di troppo

L'altro giorno un amico mi ha chiesto un parere sulla denominazione di una nuova attività commerciale alla quale sta pensando. Fermo restando che pressoché ogni attività commerciale si basa su un'insegna visiva che appunto insegna, fra le altre cose, come si scrive un nome, il caso esposto dal mio amico era il tipico caso in cui il nome è "tal dei taly", scritto però con la "y" al posto della "i". Questi giochi tra "y" al posto di "i" o, ad esempio, "k" al posto di "ch" sono possibili e frequenti, tuttavia ho fatto notare al mio amico che il nome a cui pensava, in un certo senso, partiva già zoppo, perché si doveva sempre spiegare nell'ortografia (come stava facendo lui al telefono) e questo toglieva immediatezza: insomma eravamo già a un passaggio di troppo. Da questo esempio non ricavo come regola generale che è sempre sconsigliato usare questi giochi grafici, tanto più che in certi casi possono dar vita a un esito interessante, però è da considerare questa possibile partenza zoppa di certi nomi, soprattutto quando il contesto è auditivo e non visivo.

Forse sarò sensibile a questi aspetti perché in gioventù suonavo in un gruppo musicale che si chiamava Apryl; non era il massimo star lì a spiegare ogni volta che si scriveva con la "y" e non con la "i" e che l'accento era proprio sulla "y" e non sulla "a", "a" che fra l'altro si leggeva proprio "a" e non "e". L'immagine sopra ritrae la copertina del nostro unico disco del 2002 uscito per Mellow Records, Alorconfusa, titolo che sta per "A loro confusa" e nel lasciarvi al brano che segue, "Nelle vesti di Adia", devo dirvi che il nome "Adìa" è piano e non sdrucciolo: insomma avevamo qualche problema coi nomi e i titoli!

Il nome del mio amico invece non era naturalmente "Tal dei taly" e mi accorgo ora che potrebbe pure essere un nome interessante per chi cerca la parola e il suono di "Italy" nel naming...