mercoledì 26 ottobre 2016

Risorse: il blog di Lexicon Branding

Pensando a blog sul naming vi invito a tenere un occhio sul blog di Lexicon Branding. L'agenzia americana, più volte nominata in queste pagine, si occupa essenzialmente di naming e verbal branding e, da quello che posso vedere, lo fa nel migliore dei modi, con una consapevolezza raramente eguagliata. Ovviamente, come ripetuto altre volte, quella del naming non è una scienza, bensì una pratica di creatività votata alla riduzione del rischio. Per perseguire questo obbiettivo, le strategie e competenze messe in opera da Lexicon Branding appaiono sempre ai vertici. L'agenzia, nota per aver creato tra altri il nome dei panni catturapolvere Swiffer, nel proprio sito tiene un blog aggiornato di frequente a questo indirizzo. Molti post riguardano il settore dell'auto e questo aspetto fa riflettere, pensando con l'ottica del piano editoriale del blog e della creazione di traffico su questo: sembra che solo i budget di naming messi a disposizione dell'industria automobilistica possano garantire la sopravvivenza di strutture altamente specializzate nel naming. Ancora non sappiamo se tornerà il momento in cui la voce "naming" tornerà a essere una voce significativa e scorporata nei budget marketing delle aziende, possibilmente non mischiata ad altre voci. Solo in questo modo la percezione generale del problema del nome e del problema del nome nel tempo e nello spazio tornerà sotto i giusti riflettori.

giovedì 20 ottobre 2016

Il caso di dissapore.com

Curioso il caso del sito dissapore.com. Nel grande mondo del "racconto del cibo" questo sito si è fatto largo ed è diventato assai popolare per alcune chiavi di comunicazione innovative che ha introdotto e che non spetta a me elencare. Si tratta a tutti gli effetti di un sito di comunicazione enogastronomica, come potrebbe essere ad esempio Gambero Rosso. La cosa curiosa, a mio avviso, sta proprio nel nome, e non dimentico che ai nomi questo blog è dedicato. "Dissapore" da un lato rimanda a "di sapore" ma dall'altro evoca chiaramente qualcosa di spiacevole, il "dissapore" dei rapporti interpersonali appunto, con accezioni che vanno ben oltre la sfera enogastronomica. Ho cominciato a notare questo sito anche in alcune vetrofanie di gelaterie artigianali e l'effetto, almeno per le gelaterie che riportavano questa fonte di giudizio e il relativo sito web, era per certi versi spiazzante. Naturalmente per chi conosce e bazzica la comunicazione enogastronomica tutto questo ha un senso, ma per un frequentatore di gelaterie che non conosceva il sito poteva risultare bizzarro vedere citata come fonte autorevole qualcosa che rimandava sì al sapore, ma non necessariamente al "buono".

lunedì 10 ottobre 2016

Il "non sapone"

Stavolta non vi voglio parlare di un nome di prodotto o di marca, bensì di un nome comune e di una sorta di attività di renaming del nome comune mediante negazione. Capita infatti che nella corsa al naturale-biologico e eco-friendly si incappi in un prodotto che si definisce e si presenta come sapone ricorrendo tuttavia a una negazione: ecco allora il "Non sapone", naturalmente "biologico" e naturalmente "eco", come si comunica con una certa ridondanza nell'etichetta. Sotto certi aspetti è un'operazione di naming anche questa, un renaming bizzarro della categoria merceologica di riferimento (quella dei saponi, compresi quelli liquidi), una risemantizzazione della categoria di prodotto. La cosa strana è che si prova ad affermare negando. Il ragionamento sottostante pare essere questo: dal momento che la categoria di riferimento e l'immaginario di riferimento sono consolidati e non scalfibili presentiamo un prodotto che "fa le veci" del sapone (nel caso della foto del sapone liquido) definendolo "non sapone". A pensarci si poteva ricorrere a una parola neutra come "detergente" ma non sarebbe stata la stessa cosa e magari, a livello connotativo, la parola "detergente" è già compromessa con valori poco naturali e poco "biologici". Certo che qualcosa che si chiama "Non sapone" può, ontologicamente, essere qualsiasi cosa che non è il sapone. A voi la scelta.

martedì 4 ottobre 2016

Origine del naming Wacom

Il pollice non è diventato la nuova penna o matita. Nell'insieme nato dall'intersezione tra scrittura tradizionale a penna (o disegno a mano libera) e nuovi dispositivi elettronici si colloca quello delle tavolette grafiche (o graphic tablets, forse gli unici tablet davvero utili...). A molti sarà capitato di depositare una firma su una tavoletta digitale. La firma restava uno dei principali baluardi della scrittura a penna, tanto che non credo sia esagerato affermare che molte persone oggi forse usano la penna solo per deporre una firma. Non è inverosimile pensare che se avete depositato una firma da qualche parte abbiate utilizzato una tavoletta grafica di Wacom, azienda giapponese che detiene una posizione di leadership indiscussa in questo settore merceologico, tanto da vantare quote di mercato davvero vertiginose. Mi sono chiesto da che cosa provenisse quel nome così tradizionale nel finale in -com e tuttavia così curioso nell'accostamento con l'iniziale Wa-. La pagina italiana di Wikipedia relativa all'azienda giapponese afferma che il nome è composto dai termini giapponesi "Wa" (armonia, cerchio) e "Komu" (computer).