mercoledì 20 novembre 2019

Rebelle, un nome per lo shop online di moda, di marca e di seconda mano

C'era da immaginarselo che il web potesse avere presto la sua piattaforma di riferimento per l'abbigliamento griffato e autenticato di seconda mano. E così, all'insegna di un colore molto vicino al celebre blue Tiffany, assistiamo anche agli spot tv di rebelle.com, che mira ad attestarsi come nome di riferimento per gli acquisti online di moda di marca e di seconda mano. Sell & buy secondhand designer fashion online, questa la promessa che si legge alla fine di uno spot giocato all'insegna della trasgressione, di un montaggio assai ritmato dove, come sempre quando si parla di ecommerce, gli imballi dal colore simil blue Tiffany di rebelle.com fanno la loro comparsa tra seni censurati, accenni a serpenti o bambole che bruciano. Lo spot è allineato con un naming che gioca con "rebell-ion", "re-belle", "ri-belle" (quantomeno per chi parla italiano). Il punto che si può evidenziare, osservando questo naming, è che come sempre spostando poco si possono ottenere nomi efficaci, che poi possono essere gestiti e declinati in ottica di branding. Insomma, sin da quando i Beatles hanno messo una "a" al posto di una "e" in Beetles, con piccoli accorgimenti si possono ottenere nomi efficaci e, appunto, gestibili. E pure brevi. Ma le cose, per la cronaca come stanno? Rebelle.com è stata fondata ad Amburgo nel 2013 da Cècile Wickmann, oggi trentacinquenne.  Rebelle sta per “Re” re-commerce e “belle” che sta per bella. Tuttavia, come abbiamo visto, la parola coniata da questa fusione allude anche ad altri significati.


martedì 22 ottobre 2019

Quando il nome del dominio internet aiuta l'operazione promozionale

Il supermercato dove spesso mi reco a fare la spesa ha un catalogo premi come quasi ogni supermercato. La catena è Alì, con l'accento sulla "i", e spesso nelle operazioni di marketing gioca proprio sul proprio accento. Il catalogo premi si trova anche nel sito alisupermercati.it, in una sezione dedicata, ma è stato registrato pure un dominio internet a parte, premiali.it, al quale sono dedicate apposite affissioni nel punto vendita. Il nome di dominio è chiaramente in grado di espletare sinteticamente una duplice funzione: da un lato la contrazione tra le parole "premi" e "alì" e dall'altro la creazione di una parola dal senso compiuto, nella fattispecie un imperativo. Se si digita premiali.it si viene indirizzati su alisupermercati.it, nell'apposita sezione dedicata al catalogo premi. Tutto questo serve per dire, anzi per ribadire, che un buon dominio internet scovato libero, breve, funzionale e sensato può aiutare in operazioni promozionali e di branding. 

sabato 21 settembre 2019

Italia viva: ancora sul naming dei partiti politici

(NESSUNA IMMAGINE, IN ATTESA DEL SIMBOLO)

Si è già scritto altre volte sul naming dei partiti politici. In un frangente storico in cui si parla serenamente di "offerta" politica, diventa tristemente evidente che un partito è un "prodotto" posizionato in un dato "mercato" verso il quale il "consumatore-elettore" può orientare la propria preferenza. Ho scritto tristemente e usato tutte queste virgolette perché non era questo quell'avvenire che gli occhi "avevano sognato", per citare Luigi Tenco e deve ancora ripugnare l'idea del voto come merce. Tuttavia da anni ci siamo abituati a questo modo di riferirsi alla scena politica e anche giornali blasonati non si fanno troppi problemi a pubblicare articoli che seguono queste linee di pensiero. Non ci formalizziamo più nemmeno noi, ma delle distinzioni di tanto in tanto non guastano. Dopo decenni di sigle in P-, il nome "Italia" ha iniziato a presenziare nel naming dei partiti politici (da Forza Italia a Italia dei Valori, per esempio). Prendiamo ora il nome del neonato partito di Matteo Renzi: due parole, un sostantivo e un aggettivo che all'occorrenza potrebbe essere interpretato come un'esclamazione, se solo vedessimo il nome in una torsione quale "Viva Italia", che ricordi così da vicino quel Forza Italia che faceva pensare agli stadi. La scelta di ricorrere alla parola "Italia" nel nome non mi sembra del tutto azzeccata: è evidente che un'offerta politica, se vogliamo usare i termini con i quali è iniziato questo post, deve andare oltre i confini di una nazione e il caso di un partito crescente come la Lega dimostra come premi semmai abbandonare determinati connotazioni territoriali. E l'aggettivo "viva" cosa aggiunge di rilevante? Quale progetto e programma sottende? A conti fatti, mi sembra un naming che non nasce sotto i migliori auspici. Mi si dirà che quello che conta è la scelta dell'aggettivo "viva", indicatore di vitalità, speranza, futuro eccetera, ma si tratta di un pleonasmo, perché da quel che so la politica la fanno i vivi per i vivi (a proposito, male non sarebbe se si i politici tutti affrontassero con meno ipocrisie e meno fifa le leggi che disciplinano la fine della vita). Curiosamente il nome è stato svelato prima del simbolo, ma il fatto è comprensibile perché questa entità doveva iniziare a essere nominata dai giornalisti e essere data in pasto ai media. Il primo passo del naming non sembra quindi aggiungere un ingrediente di novità. Ora restiamo in attesa del simbolo e, se le premesse di questo post sono valide, è curioso che si parli ancora di simbolo e non di logo.

domenica 1 settembre 2019

Alexa, Cortana, Siri e Assistant. Il naming degli assistenti vocali

Si è letto anche nel bel libro di Adam Greenfield, Tecnologie radicali. Il progetto della vita quotidiana (Einaudi): il naming degli assistenti vocali dei grandi brand che stanno colonizzando la nostra quotidianità è spesso femminile e determina l'adozione di una voce femminile. Perché si verifica questa situazione? Perché le ricerche avrebbero stabilito che gli umani, a più latitudini e longitudini, in casi di interazione del genere prediligono avere a che fare con un simulacro-interlocutore femminile che risponda magicamente alla wake word. Come è normale che sia, questo fatto ha scatenato polemiche relative al rafforzamento di gender bias (potete leggerne qui su "The New York Times"), oppure alle dinamiche sessiste (di cui, tra gli altri, si legge qui su "la Repubblica"). I nomi in questione, al momento, sono quelli ripresi dall'immagine accanto: Alexa per Amazon, un più prosaico Assistant per Google, Siri per Apple (che può contare in una voce sia femminile che maschile) e Cortana per Windows 10. Il naming e la scelta del tono di voce con cui interagire è solo una prima parte di una storia ancora tutta da scrivere nell'interazione uomo-macchina, ora che questa interazione diventa qualcosa di più domestico, per quanto non necessariamente addomesticato e addomesticabile, come il citato libro di Greenfield brillantemente dimostra; poiché la questione del gender è più che mai all'ordine del giorno, per forza di cose impatterà con futuri casi di naming, dal momento che il nome è così sovente collegato alla questione del genere. In altre parole, siamo solo all'inizio.

lunedì 22 luglio 2019

Adez, la linea di bevande vegetali e vegane acquisita da Coca-Cola

Un curioso caso da seguire è quello di Adez, marchio di bevande vegetali e vegane in portafolio di Coca-Cola Company. Il brand ha origine in Argentina, dove prende il nome di "Ades", parola che sta per "Alimentos de Semilla". Ades rappresenta un caso di marchio nazionale cresciuto nell'arco di un trentennio e ora ancor di più parallelamente alla crescita del mercato di prodotti veggie o vegani. La cosa che ci interessa non è tanto l'acquisizione da parte di Coca-Cola di un marchio locale particolarmente "in salute" (dentro e fuori metafora), bensì l'origine del nome e il suo successivo adeguamento in Adez, al fine preciso di ottenere un'uniformità di pronuncia in tutti i paesi europei (con l'esclusione della Spagna). Infine, passando ad osservare il logo, si nota come questo sottolinei anche la "completezza alfabetica" con il maggior corpo delle lettere A e Z (situazione che può richiamare alla mente i casi di AZ o di Amazon). Per approfondire si può andare qui.

martedì 2 luglio 2019

Kidult, il brand di Mabina che ricorda una fusione di parole

Nel settore della gioielleria capita che una linea di prodotti abbia un successo che potremmo definire "virale", rapido e vasto. Pensiamo al passato e al caso di Nomination oppure al caso più recente di Pandora, azienda e brand danese che ha avuto davvero una grande penetrazione di mercato, soprattutto con i propri bracciali. Insomma, in un panorama di nomi inteso in senso allargato che davvero fatica a regalare grandi sorprese - anzi, diciamolo una volta per tutte, il naming sta battendo davvero la fiacca in certi settori un tempo in grado di riservare belle e frequenti sorprese - questo settore merceologico riserva tuttora dei casi interessanti da analizzare, sia dal punto di vista del design, sia dal punto di vista delle strategie commerciali, sia dal punto di vista della costruzione di brand e quindi anche dal punto di vista del nostro naming. Stavo pensando ad esempio alla linea Kidult di Mabina, che chiaramente rimanda alla fusione di due parole di segno opposto, "Kid" e "Adult". Se pensiamo all'attualità di espressioni come "Young adult" (in ambito editoriale), ci accorgiamo anche dell'attualità e della curiosa attitudine di questa denominazione per la la linea "fashion brand" di Mabina. Il risultato è un bel nome, anche dal punto di vista fonetico, difficilmente attaccabile da spelling errati.

giovedì 23 maggio 2019

"Naming: guida per attribuire la migliore denominazione a un'azienda o a un prodotto" di Giovanni Sodano 

Oggi una segnalazione di una novità editoriale legata al naming. Il libro è Naming: guida per attribuire la migliore denominazione a un'azienda o a un prodotto di Giovanni Sodano, pubblicato da Dario Flaccovio Editore. L'autore è esperto di naming e posizionamento sui motori di ricerca e in questo volume (pp. 176, euro 19) racchiude osservazioni aggiornate sulla pratica del naming, qui definita anche "arte" (un'arte che però abbiamo visto molto spesso è più un consolidato insieme di norme e buone prassi). Si tratta di una pubblicazione che arriva dopo un periodo di sostanziale assenza di novità editoriali nell'ambito del naming e anche per questo ha senso segnalarla in questo blog. Come ci avvisa la scheda del prodotto, il volume chiarisce soprattutto le varie fasi del processo di naming. Credo sia bene ricordare che quello dell'attribuzione di un nome è sempre un processo, non importa quanto breve o quanto lungo: "dalla analisi degli aspetti identitari alla possibilità di veicolare messaggi; i diversi fattori tecnici; la differenza tra nome del prodotto e quello della marca; lo studio del target, del posizionamento e la valutazione della concorrenza; gli esempi negativi da evitare e la necessità di usare un metodo ben preciso." Per gli interessati al naming, al branding, al posizionamento e alle nuove intersezioni di questi temi nel contesto digitale, segnalo quindi questa novità editoriale da tenere in considerazione.

sabato 20 aprile 2019

Quando i naming tradotti tornano ad allinearsi: il caso di Testanera che diventa Schwarzkopf anche in Italia

Di recente Testanera, brand noto per linee di prodotti in ambito cosmetico, è diventato Schwarzkopf anche nel nostro paese. Come leggere questo recente cambio di identità nominale all'interno di un dato contesto linguistico? Ci sono più direzioni di lettura. Che gli italiani non amino certi brand dal suono ostico, esotico e comunque poco nazionale è comprovato e basta pensare ai celebri esempi di Colgate o Palmolive e delle loro pronunce. Per questo, a suo tempo, si optò per una traduzione letterale del nome tedesco Schwarzkopf in Testanera. Tuttavia, all'altezza dell'anno 2019, ci sono altri ragionamenti da fare: gestire un'identità nominale multipla, in un contesto globalizzato, può diventare assai complesso e per di più oneroso. Ci sono delle sottili economie di scala che scattano quando la denominazione è unica, a maggior ragione nel mondo piatto della rete. In questo specifico caso, l'operazione di allineamento è possibile anche grazie a un'identità visiva molto forte della marca. E comunque la vera vocazione delle marche è quella di essere riconosciute universalmente con un nome unico. Inoltre - e qui scatta la curiosità sull'origine del nome di questa marca - è anche abbastanza logico che il naming non venga più tradotto, perché se andiamo alle origini scopriamo che tutto deriva dal nome del fondatore, Hans Schwarzkopf, il quale avviò a Berlino nel 1898 un emporio dedicato ai prodotti per la cura dei capelli. 

venerdì 22 marzo 2019

La macchina Nespresso Zenius: la Z per la N?

Se c'è un mercato in gran fermento è quello del caffè in capsule. I produttori di caffè in cialde sono stati abbastanza accorti sin da subito all'aspetto ambientale. Del resto si ponevano in concorrenza con un'abitudine tutto sommato ecologica, quella del caffè in moka (talvolta, dalle mie parti, si recuperava anche la polvere usata, come fertilizzante sulle aiuole di fiori). Insomma, in un contesto di aziende diventate tutte ambientaliste dall'oggi al domani, non senza destare qualche più che lecito dubbio, quello del caffè in cialde è un mercato che si è posto abbastanza presto il problema della compostabilità. Tutta questa introduzione introdurre perché? In fondo siamo in un blog di naming. Ogni tanto è interessante divagare, anche ora, per arrivare infine a dire una cosa sola, cioè che la macchina per caffè espresso di Nespresso denominata "Zenius" si chiamerà così probabilmente anche per l'alto valore iconico della lettera "Z", che è una "N" ruotata di 90 gradi. La lettera "N", come sappiamo, è la base dell'identità visiva di Nespresso. Penso sia quello il motivo di nome che ovviamente rimanda a "Genius". Chiaramente ci aspettiamo prodotti sempre più geniali anche per il problema ambientale, ma ad osservare qualsiasi carrello della spesa viene da chiedersi se davvero possiamo immaginarci ancora un futuro.

martedì 12 marzo 2019

Origine del nome Arc'teryx

Arc'teryx è un'azienda di origine canadese di abbigliamento per il cosiddetto outdoor, la montagna e gli sport. La fondazione risale al 1989. Il nome è curioso, diverso da quelli che si trovano solitamente nel mondo sportivo e si fa notare anche per l'apostrofo tra la lettera "c" e la lettera "t", oltre che l'inedito logo. Nella pagina Wikipedia si legge che il nome dell'originaria linea di abbigliamento da arrampicata era Rock Solid, poi mutato appunto in Arc'teryx, con aperto riferimento a Archaeopteryx, uno dei primi uccelli conosciuti dagli studi umani. Lo scheletro dell'uccello, così come appare nel "Berlin specimen", esemplare più completo ai noi pervenuto, è alla base del logo disegnato da Michael Hofler. Come più volte ricordato quando si è discusso di fonosimbolismo e nomi di marca, il finale dei nomi in X conferisce spesso una patina particolarmente tecnica alla brand identity.

lunedì 18 febbraio 2019

Sul naming della app Glovo e altre implicazioni linguistiche dello spot

Avete visto lo spot? Pare sia iniziato un tentativo di penetrazione nel nostro paese da parte di Glovo, start-up spagnola del 2015. Cosa fa Glovo, innanzitutto? Da Wikipedia: "The application allows customers to order whatever they want that fits in a motorbike. It has different categories depending on the type of product: food, pharmacy, groceries, courier, etc. Once the order is made, the customer can see by geolocation which courier will deliver the order, where it is located and the route the courier will follow. All in real time. The vast majority of the couriers use motorbikes and bicycles." Il meccanismo è in linea con tante altre app, si pensi a Uber. Come sempre in questo blog interessano principalmente il naming e aspetti di natura verbale. Nel caso del nome Glovo quanto emerge è: 1) vicinanza alla radice latina di "globo", 2) vicinanza alla parola inglese "glove" che suggerisce spesso un concetto come quello di aderenza, 3) amore, "-lov-", al centro del naming, 4) alternanza di liquidità di "l" e della fricativa labio-dentale "v" che conferisce al naming un senso di velocità, rotazione (pensiamo al caso estremo del naming "Volvo", così perfetto per una casa costruttrice di auto). Si tratta di un caso da monitorare perché così ben aderente al nuovo consumatore capriccioso che compra online e vuole subito ricevere il proprio capriccio, possibilmente senza fare fatica e possibilmente consegnato con un'ecologica bicicletta. Lo spot, da un punto di vista linguistico, sembra quasi punti già a lessicalizzare la marca: "Ordina un glovo" si sente, come dire che un gelato, un sushi, un burger, la spesa, una colazione del bar e "qualsiasi cosa tu voglia" possono già passare tutti indistintamente sotto la nuova etichetta "Glovo". E chiaramente c'è già il nome per i fattorini di Glove, i Glovers. E sulle condizioni di lavoro di questa nuova categoria della sharing economy già si inizia a leggere qualche articolo.



giovedì 7 febbraio 2019

Quando il nome si presta nel logo a illustrare l'immaginario di marca

Forse vi sarà capitato di prestare attenzione ai cursori di chiusura delle cerniere delle vostre giacche. Spesso riportano la scritta YKK. Su Wikipedia leggiamo che "YKK è un'azienda giapponese tra i maggiori produttori mondiali di accessori da chiusura (cerniere lampo e fibbie in primis)." Inoltre, prosegue Wikipedia ponendo fine alla curiosità degli appassionati di nomi, "YKK è l'acronimo di Yoshida Kogyo Kabushikigaisha ("Yoshida industriale Società per Azioni", in lingua giapponese), l'originario nome della società modificato in YKK Corporation nel 1994. Il marchio YKK si trova impresso su entrambi i lati del cursore delle cerniere prodotte dall'azienda." Si tratta di un marchio molto diffuso eppure sfuggente, vuoi perché, come recita il payoff, parliamo di "Little Parts. Big Difference", vuoi perché è un'azienda che spesso vende il proprio prodotto a altre aziende, prima ancora che a un fantomatico "consumatore finale". La cosa curiosa, dal punto di vista del naming e del renaming del 1994, è che la combinazione delle lettere Y e soprattutto delle due K conferisce al logo un aspetto simile a quello di una porzione di cerniera.

giovedì 17 gennaio 2019

Priceless e wordless: Mastercard toglie il nome dal logo e si riapre una vecchia questione

È di pochi giorni fa la notizia del rebranding attuato da Mastercard, che prevede la rimozione la parola "Mastercard" dal proprio logo, lasciando solamente il cerchio rosso e il cerchio arancione (che qualcuno definisce giallo) in parziale sovrapposizione. La scelta ricorda altri precedenti illustri come Nike e Apple ed è stata presa dopo aver soppesato, in sede di test, che circa l'80% del campione intervistato riconosceva il logo anche senza parola. In futuro, nella maggior parte dei materiali, troveremmo quindi solo i due cerchi. Molto si è discusso in passato anche del caso di Nike, che a onor del vero è tornata a utilizzare in molti contesti la parola-nome. Questo fatto, quando accade, non ci parla però di una debolezza del naming rispetto all'identità visiva. Semmai ci ricorda che comunque quel simbolo è collegato - e deve essere collegato - a una parola-nome. Insomma, l'ancoraggio è sempre con il nome, che resta il vero fulcro del sistema (ogni business, del resto, necessita di un nome). E resta da chiedersi quanto la fortuna del verbal branding attuato con le campagne pubblicitarie di Mastercard, ovunque "priceless", abbia influito anche in questa ulteriore sottrazione di nome dall'identità visiva. Insomma, c'è da pensare che questa scelta di togliere le parole nasca anche dalle stesse parole che hanno fatto la fortuna del brand in questi ultimi anni di sviluppo: priceless and wordless.

lunedì 7 gennaio 2019

Le supposte eva/qu: quando l'identità visiva gestisce eventuali ambiguità del naming

In televisione l'inverno è un gran carosello di spot per tosse o influenza. Ma sotto le feste anche l'aspetto digestivo è preponderante: bruciori di stomaco, stitichezza e chi più ne ha più ne metta. E dopo le grandi mangiate si presuppone che debbano avvenire grandi sedute di evacuazione, altrimenti sono guai. Ecco allora eva/qu, che però non è propriamente un lassativo, bensì una supposta effervescente che favorisce la necessaria spinta per l'evacuazione, appunto. E proprio "supposte evacuanti - stimolo effervescente" è quanto si legge nella confezione. Chiaramente il naming deriva da "evacu-are" e da "evacu-azione". C'è la curiosità però dello scorporo del nome "Eva" nel logo del prodotto, quasi a offrire una connotazione femminile al farmaco. Quando ho sentito (senza vederlo) lo spot ho sorriso perché sembrava un naming foneticamente vicino alla parte anatomica dove la supposta va applicata. Non sarà quindi un caso che il naming preveda l'inserimento della lettera "Q" al posto della "C" della parola "evacuare" e la barra a separare "eva" da "qu"? E anche il corpo più piccolo della lettera "u" nel logo lascia pensare che l'identità visiva del farmaco voglia evitare eventuali ironie sul nome e sul suo suono. Ecco un esempio di come un nome potenzialmente ambiguo, almeno in parte, possa essere gestito con un'attenta considerazione dell'identità visiva.