domenica 27 luglio 2014

Biscottone Mulino Bianco, un nome di biscotto "singolare"

Sembrano lontani i tempi in cui i nomi dei biscotti del Mulino Bianco rappresentavano dei brand a loro volta. Io ad esempio interrogavo mio fratello sui nomi dispiegati sul retro delle confezioni, e penso altri abbiano fatto questo giochino mattiniero. Penso a Tarallucci, Mugnai, Pan di Stelle (divenuto brand a tutto tondo, negli ultimi anni), Macine ecc. Erano tutti nomi che contribuivano a costruire il "cosmo Mulino Bianco". Di recente mi sono imbattuto in questo nuovo prodotto denominato Biscottone che palesa un naming apparentemente rinunciatario, nel senso che si ricorre ad un semplice accrescitivo di "biscotto". Il vantaggio del prodotto, evidenziato anche nella confezione, è in quel "grandi e inzupposi", quest'ultimo neologismo che sembra strizzare l'occhio al linguaggio giovanile. C'è però una novità che questo naming apparentemente "rinunciatario" introduce: il singolare. Se ci pensate era stato il plurale a farla da padrone nel nome dei biscotti. Con Biscottone assistiamo invece all'introduzione del singolare nel naming dei biscotti del Mulino Bianco. Si tratta di piccola svolta. Cosa ricavare da questa storia? Evidentemente aziende che hanno fatto la storia del naming in Italia come Barilla sanno essere estremamente innovative anche quando sembrano essere estremamente tradizionali, soprattutto in tempi in cui si bada molto alla sostanza e alla concretezza di ciò che si mette nel carrello della spesa.

domenica 20 luglio 2014

Intervista a Maria Pia Montoro: di naming e terminologia


D: A una terminologa intervistata in un blog sul naming chiedo innanzitutto cosa pensa del naming, se è qualcosa che segue con attenzione e che cosa ha eventualmente imparato da questo, visto che terminologia e naming sono per molti aspetti dei territori attigui?
R: Il naming è un uso creativo delle parole e in quanto “word lover” e appassionata di terminologia, mi viene del tutto naturale esserne incuriosita. Io poi ho una particolare predilezione per i neologismi e i nomi dei brand sono spesso dei neologismi.


D: Dicevo che terminologia e brand naming possono essere considerati territori attigui. Ma sei d'accordo con questa affermazione? E se sì, quali le comunanze e quali le specificità di ciascuna di queste due pratiche specialistiche?
R: Credo che il punto di unione tra i due territori sia rappresentato dalla “corporate terminology. Le aziende vogliono essere identificate velocemente, chiaramente e positivamente dai loro potenziali clienti e dal pubblico. Il nome adottato dall’azienda e la relativa terminologia utilizzata devono dare forma e rafforzare l’identità dell’azienda, ovvero l’identità del marchio. C’è una azienda negli Stati Uniti , la Lexicon, che ha creato i nomi dei brand più famosi come BlackBerry, Febreze, Pentium, beh, dietro a queste grandi creazioni c’è un intero team di 70 esperti linguistici, da 50 paesi diversi[1].


D: Qual è la tua formazione? E qual è oggi, nello specifico, il tuo lavoro?
R: Al momento mi occupo della gestione dei contenuti web di alcuni siti della Comissione europea, la mia formazione è un mix di traduzione, giornalismo e web. Nello specifico, mi sono laureata in lingue e letterature straniere all’Universita La Sapienza di Roma e ho frequentato un master in traduzione e interpretariato alla Gregorio VII a Roma, dove mi sono specializzata in traduzione giornalistica. Successivamente ho lavorato per tre anni presso una agenzia di rassegna stampa e media monitoring, la quale è stata la mia vera e propria scuola di formazione. Ogni giorno traducevo articoli dalla stampa estera (in lingua inglese e tedesca) verso l’italiano, un’attività molto simile a quella che viene fatta dalla rivista Internazionale. È stata una bellissima esperienza, ero aggiornata su tutto ed ero in grado di adottare le differenti terminologie legate ai differenti settori, in particolare mi ero specializzata nella terminologia relativa alle relazioni internazionali e all’economia e finanza. Proprio grazie alla conoscenza di quest’ultima sono approdata al Ministero dell’Economia come addetta alla rassegna stampa, precisamente al Dipartimento delle Finanze. Poi sono passata al web lavorando come web content editor presso la Corte dei Conti e la Ragioneria Generale dello Stato. Infine sono venuta qui in Lussemburgo per un tirocinio di 6 mesi all’unità di terminologia del Parlamento europeo e successivamente sono stata assunta dalla Intrasoft international.

D: Quello che accomuna il lavoro del terminologo e quello di chi si dedica al naming e quindi ciò che, in sostanza, li fa comparire in questo blog, è un'attenzione al microtesto. Nel tuo lavoro tu ti occupi dell'aspetto micro. Hai colleghi che si occupano dell'aspetto macrotestuale? E se sì, qual è il loro lavoro?
R: Io mi occupo di entrambi. Mi spiego meglio: io scrivo i contenuti di alcuni siti della Comimssione europea basandomi su testi scritti in “legalese” come le direttive UE per esempio, che non sono assolutamente “web-friendly”, e li rendo facilmente “digeribili” ad un pubblico generico. Questo testo ad esempio è tratto da questo documento. Ovviamente tutto il mio lavoro viene revisionato dai referenti della Commisione europea. Riguardo alla parte piu strettamente terminologica, sono “linguistic tester” di siti multilingue come e- Justice, ovviamente nelle lingue che conosco. Si tratta non solo di verificare che tutti i contenuti siano stati correttamente tradotti, ma anche di verificare che all’interfaccia e alle relative funzioni siano stati assegnati i termini appropriati per non causare frustrazione nell’utente. Mi è capitato di trovare “login” tradotto come “registrati”, per esempio.


D: Ci parli di qualche nome di marca che ti piace e che trovi particolarmente intelligente, magari attingendo a esempi recenti?
R: Mi ricordo quando da piccola a scuola un professore ci spiegò che il nome della marca degli zaini che usavamo tutti, gli “Invicta”, veniva dal latino “invincibile”. Mi ricordo che ne rimasi cosi affascinata e che da allora iniziai a guardare ai nomi dei brand con un certo interesse. Scoprii che “Q8” veniva da “Kuwait” e che “Kinder” significava “bambini” in tedesco. L’interesse non è svanito negli anni ma anzi si è acuito e ha trovato sfogo nel mio blog, dove appunto alcuni neologismi che mi colpiscono a che in alcuni casi sono anche nomi di brand come ad esempio il payoff “Enjoyneering”, usato da Seat: un blend di “enjoying” ed “engineering”.
Un settore che anche mi affascina è quello della moda: qui la creatività del linguaggio raggiuge i massimi livelli: neologismi e mix di lingue diverse, una vera delizia! Molti neologismi della moda li ho postati su un altro blog che si chiama Fashion Lingo. Ad esempio, un post l’ho dedicato al clamoroso successo del brand UGG, il famoso marchio di calzature, abbigliamento e accessori di moda, si quegli orribili stivali di montone. Il nome infatti suona come “ugh”, espressione di disgusto. Pare che il nome derivi dagli stivali utilizzati dagli aviatori australiani durante la prima guerra mondiale. Il termine era una abbreviazione di “flying ugg boots” dove “ugg” era un termine generico usato in Australia e in Nuova Zelanda per gli stivali di montone. Il produttore di queste stivali ha detto che l’ispirazione per il nome gli era venuto da sua moglie, che definiva questi stivali “ugly boots”. Sorprendentemente, gli orrendi stivali dall’orrendo nome hanno avuto un enorme successo. Un grande nome può fare la differenza, ma a volte anche un nome mediocre può avere un inaspettato successo. Il caso non è isolato se pensiamo che i brand piu popolari sono Microsoft, Walmart e General Electric: un nome mediocre non sempre segna negativamente il destino di un prodotto.
Un altro aspetto che mi diverte è come in Italia il nome di un brand internazionale pronunciato in maniera sbagliata possa diventare più popolare del nome pronunciato correttamente. Se dico “colgeit” quasi nessuno potrebbe capire che mi riferisco al dentifricio “Colgate”, idem per “ma’rlboro”. H&M è più conosciuto come “accaemme”, Volkswagen come “vosvagen” e Burberry come “barbery” e non come “barbry”[2]. L’effetto comico o creativo delle difficoltà di pronuncia delle lingue straniere è frequente in Italia (non siamo gli unici comunque). La pronuncia corretta di certi nomi che sono di uso quotidiano ormai da tanti anni non è ancora conosciuta da molti che di fatto spesso li ribattezzano come si leggono. Date un’occhiata a come questo simpaticissimo post ci suggerisce la pronuncia esatta dei brand.


D: E per finire un desiderio. Se ti fosse data l'opportunità di nominare un prodotto o un brand, su quale tipo di prodotto ti piacerebbe lavorare?
R: Nell’ambito della moda, ma forse sarebbe troppo facile... forse nel settore farmaceutico, i nomi che vengono dati ai medicinali in Italia sono tra i più brutti in assoluto. Basti pensare a Benagol o ad Ansiolin[3], al contrario dei nomi dati ad alcuni farmaci molto famosi come Viagra e Prozac[4] . In italiano sarebbe una bella sfida renderli più... attraenti, ma forse sarebbe uno sforzo inutile perché non auguro a nessuno di comprarli.

domenica 13 luglio 2014

Dakota, la salsiccia "già cotta" di Aia

Mi fa sempre effetto trovarmi per strada dietro a un würstel. L'altro giorno però la sorte mi ha riservato una sorpresa e anziché il solito würstel infilzato da una gigante forchetta e ricoperto di senape ho trovato una salsiccia che non conoscevo e non avevo mai notato. Era un grande camion di Aia, azienda che per quanto riguarda il naming meriterebbe un post a parte (brevità del nome palindromo, evocazioni). E notavo la gigantografia della salsiccia denominata "Dakota", la quale ha il vantaggio di essere pronta in due minuti soltanto, in quanto già cotta. Il fatto che nel packaging si sottolinei "già cotta" appena sotto al nome "Dakota" mi ha fatto pensare che in qualche modo questo naming rafforzi il benefit principale del prodotto ("già cotta" suona assai vicino a "dakota"). Inoltre il nome Dakota dà all'operazione di marketing nel suo complesso quel tocco da barbecue americano che di certo non guasta e che suppongo cercato. Insomma, con un semplice nome trisillabico sono riusciti a rafforzare foneticamente il benefit principale del prodotto e a creare un immaginario. Non era facile. Complimenti.

lunedì 7 luglio 2014

Risorse: la sintassi dei nomi di marca in italiano

Come detto altre volte vorrei utilizzare questi post per segnalarvi contributi interessanti sul naming che spesso trovano la propria origine in ambito accademico. Da qualche anno infatti si sono anche moltiplicate le tesi di laurea sul brand naming (è un aspetto che bene o male ho verificato io stesso) e ora sono reperibili degli articoli molto validi e molto interessanti. Vi rimando a questo scritto di Maria Chiara Janner dell'Università di Zurigo intitolato "Sintassi dei nomi di marca in italiano. Note sulla determinazione". Questo scritto si interroga sulla categorizzazione problematica dei nomi di marca (sono questi nomi propri o nomi comuni?) e riprende il costrutto di determinazione per provare a far luce su un terreno che presentà non poche difficoltà e ambiguità. Questo il link al contributo.