Riprendo la rubrica delle interviste e stavolta l'intervistato sono io. Come forse sapete, non faccio nomi di professione (qualche nome l'ho inventato pure io, soprattutto per le aziende in cui ho lavorato, ma non cerco nomi dalla mattina alla sera). Rovistando in un vecchio bauletto digitale ho trovato questa intervista che la brava copywriter Francesca Benvenuto mi fece nel 2006 per il suo bel blog "Cosa fai copy?", un sito dedicato alla scrittura professionale e al mestiere del copy in particolare. I blog servono anche a questo, a volte: come diceva Umberto Eco per la tesi di laurea "non si butta via niente".
FB: Si sa, il nome di una marca è la cosa più importante, è come dare un nome ad un bambino: lo confronti con il cognome, valuti la lunghezza, il suono, l'impressione che ne deriva. Poi sarà il bambino a dargli il carattere. Una marca funziona allo stesso modo: nome e carattere. Ma per dargli un nome, da cosa devo partire?
AC: Cogli subito un ragionamento importante e centri un aspetto fondamentale: il rapporto tra nome e nome-nel-tempo è, in effetti, uno degli aspetti che più ci interessano oggi quando andiamo a studiare i nomi. Con la differenza che, se nel mondo esistono milioni di Marc, Luca o John, di Apple, Palmolive o Focus ne esiste uno solo per categoria merceologica. Si badi, un solo nome di marca che si manifesta spesso in una pluralità di prodotti. Quello tra nome e carattere è un binomio indissolubile tanto che oggi il problema del nome è protagonista del filone di studi sulla brand personality (le marche si studiano con strumenti del tutto simili a quelli utilizzati per studiare la personalità o il carattere di una persona, le marche si "personificano" nei focus group per capirne potenzialità o lati deboli).
Venendo alla tua domanda, direi che di fronte ad una marca da battezzare devo concentrarmi sulle sue aspirazioni, sulla sua capacità di costruire valore, identità, relazione nel tempo. Possiamo individuare grossolanamente alcune fasi nella storia del naming: dal nome-etichetta (la zuppa "Campbell"), al nome come dispositivo in grado di comunicare benefici funzionali o psicologici (il detersivo lavapiatti "Svelto") alla fase attuale che prevede un nome in grado di assecondare la capacità del brand di costruire nel tempo valore, aspirazioni, relazione e identità (nel mio libro porto l'esempio di "Yaris"). In una frase, possiamo dire siamo passati dal nome-etichetta al "nome-etico" (pensa a "Philip Morris Inc." che è diventata "Altria Group", come a spostare il centro dell'attenzione su... "altro" dal tabacco).
FB: Quali sono le caratteristiche fondamentali che deve avere un nuovo nome?
AC: Si legge spesso che un nuovo nome dovrebbe essere breve, facile da pronunciare, inattaccabile da spelling errati, memorabile, suggestivo. Tutto vero. Tuttavia il requisito fondamentale si trova spesso in un campo più ostico, quello della legge. Un nuovo nome deve essere soprattutto "sano" dal punto di vista legale. Non esiste creazione separata dalla verifica legale sull'utilizzabilità del nuovo nome. Anzi, c'è da dire che il naming come pratica creativa specializzata nasce proprio dagli studi legali che si occupavano di ricerca, registrazione e tutela dei nomi di marca.
FB: Nome proprio o nome inventato? Quando si usa uno e quando l'altro?
AC: Se con "nome proprio" intendi, ad esempio, il condizionatore "Pinguino", la tendenza è quella di abbandonare questa tipologia di nomi. La ragione può essere banalmente ricondotta al fatto che i dizionari delle principali "business languages" del mondo sono ormai interamente registrati e trovare una parola-nome libera e utilizzabile è diventato un'impresa. Ecco allora l'emergere dei nomi coniati con i quali si è fatto - mi si passi l'espressione - di necessità virtù. Non solo questi nomi sono in grado di risolvere il problema della mancanza di nomi liberi nei dizionari, ma si sono presto rivelati particolarmente adatti ad accompagnare le diverse fasi di vita del brand. Questi nomi inventati si definiscono anche “di pura fonetica”: non dobbiamo mai dimenticare che gli attributi di natura fonetica riferiti al nome di marca fanno spesso la differenza. Un nome è innanzitutto, materialmente, un suono, qualcosa che vibra nell'aria e che può muovere i nostri neuroni e la nostra immaginazione. Direi quindi che la frattura nell'utilizzo di queste due tipologie di nomi che tu citi è soprattutto di ordine temporale e non metodologico.
FB: Come si inventano i nomi di fantasia? C'è un metodo, oppure - molto più semplicemente - non sono mai interamente nomi di fantasia? Mentre ti faccio questa domanda penso a qualcosa che esula completamente dalla pubblicità: penso a Tolkien e a tutto quel mondo di nomi del Signore degli Anelli e della Terra di Mezzo, ma anche Harry Potter e la Scuola di Magia. E' affascinante: mi da quasi l'impressione che dare un nome ad una cosa sia come crearla, darle la vita.
AC: Ci sono diversi metodi per inventare nomi di fantasia e spesso si può ricorrere alla combinazione tra creazione umana e creazione al computer. Non è infatti da escludere che un buon nome possa uscire da un software pensato appositamente per il naming. Riguardo la tua considerazione sul dar vita con un nome, non posso che essere d'accordo. Il nome ha a che fare con l'identità, nel senso più viscerale del termine. Identità e pensiero: non ci dimentichiamo che la filosofia e la filosofia del linguaggio in particolare hanno affrontato il problema dei nomi a più riprese. La Bibbia, il libro dei libri, è un libro di nomi. Pensiamo al valore dei nomi (dei patronimici) in istituzioni sociali come la famiglia e pensiamo alla tendenza dei media a nominare lo spazio sociale per poi poterne parlare. Ma soffermiamoci anche per un istante sul lavoro mastodontico di sistematizzazione e nomenclatura di Linneo nell'ambito delle scienze naturali. Il problema del nome attraversa tutta la storia dell'umanità. I nostri nomi di marca non sono che una curiosa manifestazione di questo problema.
FB: Perchè ti interessano tanto i nomi? Cosa ti affascina?
AC: Forse perché, come ho letto di recente, è proprio vero che oggi "l'anonimato è un lusso". Credo che i nomi mi interessino anche in contrapposizione e alla luce di questa osservazione. Il tema dei nomi è interessante perché è interdisciplinare, chiama in causa intelligenze e competenze diverse. Specularmente all'interesse per i nomi c'è anche l'interesse per quello che un nome non ha, quindi l’interesse per quanto il linguaggio non ha ancora ricondotto in termini "discreti" e quindi denominato. Credo che qui l'onomaturgia, il potere di denominare, debba farsi da parte. O meglio, in questo spazio, non di rado, si inserisce la poesia. In questi istanti, mi viene in mente una canzone di Gaber... il "Signor G" che voleva essere "nessuno".
FB: Ultima domanda di rito: dammi qualche suggerimento, c'è qualcosa che posso leggere? Oppure c'è un metodo attraverso il quale posso "trovare" dei nomi. Io, ad esempio, ho una piccola rubrica che mi ha regalato mia sorella (molto graziosa, acquistata a Pisa): al suo interno mi segno nomi di luoghi, persone o semplici parole che mi piacciono. Diciamo che mi danno qualche brivido. Tu cosa fai? Dove trovi i tuoi nomi.
AC: Da poco è uscito Che nome sei? Nomi, marchi, tag, nick, etichette e altri segni di Patrizia Calefato (Meltemi), il libro da dove ho tratto anche l'affermazione sull'anonimato come lusso. Non tratta specificatamente i nomi di marca ma affronta il problema delle denominazione da più angolature, con un approccio squisitamente interdisciplinare.
Per quanto riguarda la mia professione, non sono un consulente di naming. L'interesse per il naming è nato con la tesi di laurea, ormai cinque anni fa. Di questa tesi ho fatto un po' quello che si fa con il maiale, non ho buttato via niente. Sono arrivati in seguito un articolo su rivista (sui nomi degli yogurt Danone), un libro che ora viene adottato in alcuni corsi universitari e un paio di lezioni accademiche, qualche pubblicazione su web. Tengo vivo l'interesse di ricerca in questo modo. Tanti studenti mi scrivono perché alle prese con una tesi sul naming. Forse ho solo anticipato un po' i tempi. Tuttavia non so ancora se da grande mi piacerebbe studiarli o crearli questi benedetti nomi! Ah, una domanda ce l'ho anch'io: mi concederai un'occhiata alla tua rubrica?