Oggi torno a intervistare. Dopo la serie di colloqui con chi si occupa espressamente di naming risalente a qualche tempo fa, mi intrattengo ora con Licia Corbolante, che di mestiere fa la... terminologa. Posso immaginare facce strane. Eppure questo mestiere, che come scopriremo presenta delle affinità polpose con il naming, si trova normalmente in aziende come Microsoft, con cui la nostra intervistata ha collaborato a lungo. Nelle risposte che seguono potremo scoprire le intersezioni tra discipline solo apparentemente lontane come la linguistica e il marketing (del resto il nostro naming ne è un esempio abbastanza rilevante) e parleremo di naming con una persona che anche nel suo blog denominato Terminologia etc. dimostra un'attenzione costante e rara verso le più singolari - ma anche comuni - manifestazioni e bizzarrie delle lingue.
D: Chi ha imparato a conoscerti,
magari anche dai commenti sempre ricchi che lasci in questo blog, si sarà
chiesto dove nasce il tuo singolare lavoro e la tua singolare carriera che ti
consente oggi di cogliere al volo aspetti linguistici importanti legati alla
vita di ogni giorno. Ci racconti brevemente cosa hai studiato e le tue
principali occupazioni sino a oggi?
R: Ho studiato traduzione alla SSLMIT di Trieste; subito dopo essermi
laureata con una tesi sugli aspetti culturali della traduzione ho lavorato come
lettrice e poi docente di traduzione nel dipartimento di italiano della
University of Salford, in Inghilterra, dove mi sono specializzata in
linguistica applicata e marketing. Dopo la parentesi inglese è incominciata una
lunga carriera in Microsoft, nell’ambito della localizzazione (il processo di
traduzione e adattamento di software e altri contenuti digitali per un mercato
specifico); ho iniziato come Italian
language specialist a Dublino, dove mi occupavo di tutti gli aspetti della
qualità linguistica e “culturale” del prodotti. Dopo sei anni in Irlanda mi
sono trasferita a Milano e mentre si evolvevano i processi di localizzazione,
ho ampliato le mie competenze e sono diventata terminologa, un’attività che comporta
estrazione terminologica in inglese (lingua 1) e in italiano (lingua 2),
gestione e manutenzione di database terminologici con creazione di voci e
definizioni e soprattutto un’intensa attività di ricerca in entrambe le lingue.
Nel 2009 è terminata la mia collaborazione con Microsoft e da allora opero
indipendentemente sia nell’ambito della localizzazione che anche in altri
settori tecnici, sempre però con la coppia di lingue inglese e italiano.
D: Linguistica e marketing sembrano incrociare
perfettamente nel naming. Eppure sono molti i punti in cui gli aspetti verbali
e terminologici intercettano il marketing. Potresti approfondire quelli
salienti?
R: Nel marketing vengono
identificati i fattori che influenzano il comportamento del consumatore, ad
esempio culturali, sociali, personali, demografici e psicologici, in modo da
sviluppare le strategie più idonee al proprio mercato, che però non sempre sono
adeguate anche in altri paesi o a livello globale. Gli esperti linguistici, tra
cui traduttori e terminologi che operano in più lingue e hanno acquisito
specifiche competenze interculturali, possono contribuire a definire modelli
culturali di riferimento, fornire analisi sociolinguistiche e identificare gli
aspetti verbali e visuali che influenzano preferenze, percezioni e aspettative
per il prodotto nella loro cultura. La collaborazione tra esperti linguistici e
interculturali e i responsabili del marketing consente di identificare le
strategie per il prodotto in lingue e mercati diversi e di indicare le linee
guida per l’adattamento e la presentazione, che includono esempi, convenzioni,
stile, registro e scelte terminologiche, spesso molto diversi da una lingua
all’altra.
D: "Terminologa". Sembra una brutta parola.
Eppure si nasconde un lavoro che conduci con passione invidiabile. In che cosa
consiste ora la tua carriera di terminologa indipendente, dopo la lunga
parentesi in Microsoft?
R:Il terminologo si occupa delle attività di gestione e ricerca a cui ho
accennato prima, nel mio caso anche in campi non strettamente informatici. Oltre
a fornire diversi tipi di consulenze linguistiche, ho operato anche in un ambito
lessicografico con la revisione delle voci di informatica del Dizionario
inglese-italiano Ragazzini (Zanichelli), e faccio parte di un gruppo di lavoro UNI
che recentemente ha pubblicato una norma sulla scrittura professionale. Un
aspetto del mio lavoro che ho potuto sviluppare in questi anni e che mi dà
molta soddisfazione è la formazione terminologica a livello aziendale,
universitario e anche in istituzioni europee. Queste attività si riflettono nel
mio blog, nato per condividere considerazioni, esperienze e competenze in
ambito terminologico, un settore in cui per l’italiano non c’è molta
divulgazione, se non a livello accademico; spesso propongo esempi tratti dai
media, da pubblicità o altro materiale disponibile online che sono una
rielaborazione di esempi reali osservati o affrontati in progetti
terminologici.
D: Andiamo diretti al naming. Si tratta di qualcosa che
segui per ovvi motivi professionali e collaterali oppure il naming ha investito
parentesi importanti della tua attività passata o attuale?
R: Ho cominciato a occuparmi di naming durante alcune attività del ciclo
di vita del software e di servizi online, in inglese conosciute con vari nomi
tra cui cultural review, cultural customization assessment, cultural
check, globalization review. Sono valutazioni di immagini, messaggi non
verbali e nomi di prodotti o servizi destinati a rimanere in inglese in tutti i
mercati e che vengono analizzati per verificare che siano accettabili in mercati
diversi e che lo stesso tipo di comunicazione del prodotto originale sia
mantenuto senza dover intervenire con traduzioni o adattamento. Non si tratta
quindi di proporre nomi ma di
identificare quelli che sono improponibili
in contesti diversi da quelli in cui sono nati, come poteva essere l’ormai
famigerato Inkulator. In Microsoft avevo
sviluppato e coordinato il sistema di valutazione per tutte le lingue, poi
presentato anche in alcuni convegni, e ho appena consegnato un mio contributo
intitolato Cultural Competencies in
Globalization per un volume sulla localizzazione curato da un’università statunitense.
Continuo a occuparmi di un aspetto particolare dei nomi in inglese, il punto di vista della seconda lingua o E2, rilevante in tutti i contesti dove l’inglese è usato come una lingua franca o veicolare, senza che sia la madrelingua né di chi produce né di chi consuma un prodotto o servizio. È uno scenario molto comune in Europa, un mercato per il quale anche le aziende italiane ricorrono spesso a nomi inglesi; in questo caso le analisi linguistiche, in collaborazione se necessario con colleghi di altre lingue, possono includere considerazioni sulla riconoscibilità delle parole, eventuali difficoltà di pronuncia e memorizzazione e associazioni o interpretazioni indesiderate causate da interferenze della propria lingua (nel mio blog ci sono vari esempi, tra cui s·nowhere o snow·here, una questione di E2? e Android KitKat).
Continuo a occuparmi di un aspetto particolare dei nomi in inglese, il punto di vista della seconda lingua o E2, rilevante in tutti i contesti dove l’inglese è usato come una lingua franca o veicolare, senza che sia la madrelingua né di chi produce né di chi consuma un prodotto o servizio. È uno scenario molto comune in Europa, un mercato per il quale anche le aziende italiane ricorrono spesso a nomi inglesi; in questo caso le analisi linguistiche, in collaborazione se necessario con colleghi di altre lingue, possono includere considerazioni sulla riconoscibilità delle parole, eventuali difficoltà di pronuncia e memorizzazione e associazioni o interpretazioni indesiderate causate da interferenze della propria lingua (nel mio blog ci sono vari esempi, tra cui s·nowhere o snow·here, una questione di E2? e Android KitKat).
D: C'è qualche naming che ti ha colpito negli ultimi
tempi? Se sì, per quale motivo?
R: Non è nuovo e non ha a che fare con l’informatica o altre tecnologie,
ma continua a piacermi molto Libelle,
un cracker di Barilla. È facile da ricordare, suona molto gradevole ed è
familiare, come se esistesse da sempre. Le associazioni sono tutte positive, in
particolare vengono richiamati l’aggettivo bello e
il sostantivo libellule, insetti eleganti
e leggiadri (e forse, per chi conosce solo qualche parola di tedesco, anche la
parola Liebe, “amore”?). Gli aspetti fonosimbolici sono evidenti: tutte
le vocali sono anteriori e così possono suggerire sottigliezza e leggerezza. Il
payoff Croccanti e leggere sottolinea
la levità ma la accompagna con un aggettivo corposo che aggiunge gusto e sostanza.
Sempre in campo alimentare, ma per il motivo opposto e per divertimento, raccolgo segnalazioni di nomi di prodotti “italianeggianti” che risultano accattivanti solo all’estero, come ad esempio Flatizza, Pastachetti, Soffatelli e Pizzaghetti, per non citare i nomi di alcune varietà di caffè Nespresso e di alcune marche del supermercato LIDL.
Sempre in campo alimentare, ma per il motivo opposto e per divertimento, raccolgo segnalazioni di nomi di prodotti “italianeggianti” che risultano accattivanti solo all’estero, come ad esempio Flatizza, Pastachetti, Soffatelli e Pizzaghetti, per non citare i nomi di alcune varietà di caffè Nespresso e di alcune marche del supermercato LIDL.
D: In questo periodo avaro di lavoro, quali nuove
interessanti figure professionali intravedi per chi intraprende un percorso che
abbraccia linguistica, marketing e aspetti della traduzione?
R:Il periodo non è dei migliorie l’attenzione per la qualità linguistica
ne risente, ma mi sembra che anche in Italia, seppure con notevole ritardo
rispetto ad altri paesi come la Germania e la Svizzera, si cominci a capire
l’importanza della gestione sistematica della terminologia, quindi potrebbero
esserci sbocchi interessanti per aspiranti terminologi. Se però dovessi
scegliere ora un percorso di studi, sarei meno attratta da una formazione
linguistica tradizionale e preferirei invece discipline che uniscono tecnologia
e lingua, come la linguistica computazionale, l’informatica umanistica o la linguistica
forense, usata in attività investigative.
D: Vorrei concludere con qualche indicazione di
approfondimento, oltre al tuo blog che ho ricordato. Ci puoi dare qualche
consiglio di lettura (blog, riviste, libri, video)? Grazie.
R: Sono molti i libri interessanti ed è difficile scegliere, però tre titoli
recenti che non dovrebbero mancare nella propria libreria sono il Dizionario di stile e
scrittura di Marina Beltramo e
Maria Teresa Nesci (solo su carta), il Dizionario Analogico della
Lingua Italiana di Donata Feroldi
ed Elena Dal Pra (carta e digitale) e Lavoro, dunque scrivo! di Luisa
Carrada, un manuale di scrittura che si legge tutto d’un fiato (carta e
digitale). Ci sono vari titoli utili anche tra i manualetti di linguistica
dell’editore Carocci. E per i language geek, come mi sono vista descrivere io, l’Enciclopedia dell’Italiano
Treccani (consultabile anche
online, ma sfogliare le pagine è tutta un’altra cosa!).
Su Internet, sempre molto interessanti gli Speciali di lingua italiana del Portale Treccani; tra i blog linguistici italiani, escludendo
quelli più noti di scrittura, comunicazione e traduzione, segnalo parole, del linguista Michele
Cortelazzo, e un altro blog scoperto da poco che pare promettente, Non lo dire mai!, a
cura di due studentesse di linguistica; mi incuriosiscono anchele
sperimentazioni di Scritture brevi raccolte su Twitter da Francesca Chiusaroli. Sul naming ho imparato
molto dal tuo blog, da quello di Linda Liguori e in inglese da Fritinancy.
Alla radio, imperdibile la trasmissione di
Radio 3 La lingua batte, che ascolto in podcast.