lunedì 18 febbraio 2019

Sul naming della app Glovo e altre implicazioni linguistiche dello spot

Avete visto lo spot? Pare sia iniziato un tentativo di penetrazione nel nostro paese da parte di Glovo, start-up spagnola del 2015. Cosa fa Glovo, innanzitutto? Da Wikipedia: "The application allows customers to order whatever they want that fits in a motorbike. It has different categories depending on the type of product: food, pharmacy, groceries, courier, etc. Once the order is made, the customer can see by geolocation which courier will deliver the order, where it is located and the route the courier will follow. All in real time. The vast majority of the couriers use motorbikes and bicycles." Il meccanismo è in linea con tante altre app, si pensi a Uber. Come sempre in questo blog interessano principalmente il naming e aspetti di natura verbale. Nel caso del nome Glovo quanto emerge è: 1) vicinanza alla radice latina di "globo", 2) vicinanza alla parola inglese "glove" che suggerisce spesso un concetto come quello di aderenza, 3) amore, "-lov-", al centro del naming, 4) alternanza di liquidità di "l" e della fricativa labio-dentale "v" che conferisce al naming un senso di velocità, rotazione (pensiamo al caso estremo del naming "Volvo", così perfetto per una casa costruttrice di auto). Si tratta di un caso da monitorare perché così ben aderente al nuovo consumatore capriccioso che compra online e vuole subito ricevere il proprio capriccio, possibilmente senza fare fatica e possibilmente consegnato con un'ecologica bicicletta. Lo spot, da un punto di vista linguistico, sembra quasi punti già a lessicalizzare la marca: "Ordina un glovo" si sente, come dire che un gelato, un sushi, un burger, la spesa, una colazione del bar e "qualsiasi cosa tu voglia" possono già passare tutti indistintamente sotto la nuova etichetta "Glovo". E chiaramente c'è già il nome per i fattorini di Glove, i Glovers. E sulle condizioni di lavoro di questa nuova categoria della sharing economy già si inizia a leggere qualche articolo.



giovedì 7 febbraio 2019

Quando il nome si presta nel logo a illustrare l'immaginario di marca

Forse vi sarà capitato di prestare attenzione ai cursori di chiusura delle cerniere delle vostre giacche. Spesso riportano la scritta YKK. Su Wikipedia leggiamo che "YKK è un'azienda giapponese tra i maggiori produttori mondiali di accessori da chiusura (cerniere lampo e fibbie in primis)." Inoltre, prosegue Wikipedia ponendo fine alla curiosità degli appassionati di nomi, "YKK è l'acronimo di Yoshida Kogyo Kabushikigaisha ("Yoshida industriale Società per Azioni", in lingua giapponese), l'originario nome della società modificato in YKK Corporation nel 1994. Il marchio YKK si trova impresso su entrambi i lati del cursore delle cerniere prodotte dall'azienda." Si tratta di un marchio molto diffuso eppure sfuggente, vuoi perché, come recita il payoff, parliamo di "Little Parts. Big Difference", vuoi perché è un'azienda che spesso vende il proprio prodotto a altre aziende, prima ancora che a un fantomatico "consumatore finale". La cosa curiosa, dal punto di vista del naming e del renaming del 1994, è che la combinazione delle lettere Y e soprattutto delle due K conferisce al logo un aspetto simile a quello di una porzione di cerniera.