sabato 29 settembre 2018

Il naming di The Hoop, agenzia integrata di comunicazione, marketing e fotografia. Un'intervista


Come si può leggere a lato, tra le varie collaborazioni di alce naming, c'è quella con l'agenzia di comunicazione The Hoop. Le risposte all'intervista che segue ripercorrono sinteticamente le tappe di questa collaborazione e di questa scelta.


- Per quale motivo avete deciso di "risolvere in esterno" la questione del naming di una nuova agenzia integrata di comunicazione?
Lesigenza è nata per limpossibilità di dare il giusto tempo alla scelta del nome, che ritenevamo comunque prioritaria, poiché totalmente assorbiti dalle pratiche e dai lavori per lavviamento della nostra nuova realtà. Agevolati dal fatto di conoscere personalmente Alberto, la scelta è stata piuttosto rapida, così come la definizione del briefing, chiaro e dettagliato il più possibile per cercare di circoscrivere le possibilità e ridurre il tempo per la decisione. 

- Quali sono state le fasi più critiche del processo di scelta del nome?
Sicuramente il mettere daccordo tutti su un singolo nome! Le svariate proposte che erano state fatte, prima dellassegnazione del lavoro a un professionista, non avevano condotto a granché. Dopo, la questione principale è stata veicolare le preferenze su una scelta che soddisfasse tutti, chi più chi meno, e tracciasse una linea da seguire anche a livello comunicativo. 

- Perché ha "vinto" Hoop alla fine? Anzi, perché "The Hoop" con l'articolo determinativo?
Ha vinto Hoop perché, tra le proposte di Alberto, è stata quella che ha raccolto più consensi sia allinterno del gruppo di lavoro costituente la nuova agenzia, sia nellindagine svolta con familiari, amici e professionisti dellambiente sul gradimento dei nomi. Larticolo determinativo è stato un rafforzativo voluto dal nostro direttore creativo, che a ragione ha sostenuto che questo dettaglio differenzia dalla massa e ci consente, tra laltro, di avere un taglio più internazionale e particolare. Il sound, poi, è decisamente accattivante. Le altre proposte di Alberto che ci avevano colpito erano wok, use, brillo e jam, ciascuno per motivi diversi. Il significato di hoop è anche quello che meglio ci identifica, ovvero un circolo di professionisti, uniti sotto la stessa egida. Poi hoop è anche il canestro nello sport, una nostra passione comune 

- Avete scelto un nome dal respiro internazionale. Questo fatto sta alla base anche di una vostra visione del futuro della vostra agenzia? 
Siamo già presenti sul territorio non solo locale, lambizione a fare qualcosa di più grande e in ambito internazionale è stata discussa e posta sul piatto; qualora si presentassero delle opportunità in tal senso, un nome internazionale sicuramente ci potrà agevolare in fase di presentazione e di conoscenza. 

- Qual è il punto di vista sul naming quale servizio da offrire e eventualmente integrare nel vostro ventaglio di servizi?
Troppo spesso ci confrontiamo con aziende molto strutturate, con prodotti innovativi e comunicazione di alto livello che entrano sul mercato con nomignoli buttati qua e là, senza alcun senso Purtroppo limportanza di un nome - inteso come spiegazione, rappresentazione e titolo di un oggetto/brand - viene spesso lasciata da parte, in primo luogo per assenza di conoscenza e di stimolo su questo argomento, e in seconda battuta perché questa attività va a intaccare il budget. E spiegare la differenza tra un nome azzeccato e un nome sbagliato non è così facile, neanche per unagenzia.

martedì 25 settembre 2018

La matrice PLUS. Your naming plus


Oggi un post pratico legato alle situazioni in cui mi sono trovato coinvolto in sessioni di naming. Illustrerò la matrice PLUS.

La matrice PLUS è uno strumento proprietario che ho realizzato anni fa come facilitatore di scelta nelle situazioni in cui mi è stata chiesta una collaborazione in ambito naming (si veda anche la lista delle collaborazioni).

Serve a chi si occupa del naming in sede di presentazione finale della shortlist di nomi candidati (da 7 a 10 nomi, solitamente) al cliente. Lo strumento può e deve avere un forte potere persuasivo nei confronti del management dell’azienda. Si tratta di un espediente grafico che consente la rapida e intuitiva visualizzazione d’insieme della forza di un nome da tutti i punti di vista rilevanti ai fini del suo utilizzo. Il suo utilizzo è indicato nelle situazioni di maggiore indecisione sulla shortlist.


La matrice è composta da un quadrato il cui centro rappresenta lo zero e le cui semidiagonali, dal centro ai quatto vertici, rappresentano la totalità del punteggio realizzato da un nome candidato nei parametri P-L-U-S.


I vertici-parametri del quadrato sono meglio descritti di seguito:


Ppositioning: riflette l’adeguatezza del nome al posizionamento ricercato.

L linguistics: contempla tutti gli aspetti linguistico-semiotici, le associazioni e le evocazioni positive.
Uuse: è la spia dell’utilizzabilità di un nome da una preliminare analisi legale e di anteriorità.
Ssound: valutazione dell’impatto sonoro del nome, del suo potere evocativo e della sua memorabilità.


Nome candidato: X
Note per nome X: configurazione tipica che potrebbe presentare un nome molto descrittivo, non molto originale dal punto di vista linguistico (L) e fonico (S), ma efficace dal punto di vista (P) e assai difendibile legalmente (U). Tale denominazione forse non spiccherà, ma sarà comunque pienamente valutabile.

Nome candidato: Y
Note per nome Y: esempio di denominazione buona da tutti i punti di vista ma meno difendibile di altre dal punto di vista legale (U). Se la denominazione in questione dovesse essere (per ipotesi) tra le preferite della shortlist potrebbero essere auspicabili e necessarie ulteriori verifiche legali con il fine preciso di interpretare lo scenario legale che si potrebbe presentare.

Nome candidato: Z
Note per nome Z: esempio che potrebbe essere la situazione tipica di un nome di fantasia, di pura fonetica, magari apparentemente e inizialmente debole sul versante del posizionamento (P) ma fortemente incisivo sugli aspetti linguistici (L) e fonici (S) e sicuro dal punto di vista legale (U). Per questo si tratta di una denominazione comunque raccomandabile. Un nome del genere solitamente il posizionamento se lo crea nel tempo, con altri apparati di comunicazione, proprio perché libero, positivo, utilizzabile.

La linea bianca che congiunge i punteggi realizzati è il “diagramma di salute” di un nome candidato. Ne consegue che il nome perfetto da tutti i punti di vista (quasi impossibile da raggiungere nella realtà) presenta tale linea coincidente con il perimetro del quadrato stesso. L’utilità dello strumento è infine la valutazione della “quadratura” di un nome candidato: più la linea bianca tenderà a coincidere con il perimetro del quadrato, più saremo di fronte ad una denominazione sicura. Si tratta di un sistema che va usato con rigore perché diventa strategico nella delicata fase della ricerca della denominazione definitiva. Come detto il suo utilizzo è indicato solo nelle situazioni di maggiore indecisione sulla short-list.



© 2015 – Alberto Cellotto


martedì 18 settembre 2018

Ancora sui titoli di libri (stavolta con Andrea De Carlo)

"Il nuovo, imperdibile romanzo di Andrea De Carlo, al suo grande “debutto” con La nave di Teseo" diceva lo strillo della newsletter della casa editrice arrivata alla casella di posta. D'accordo, si capisce da come ho iniziato il post: confesso che quanto ha fatto vedere sinora questa casa editrice non mi è sembrato particolarmente interessante. Chiaramente ho letto solo qualcosa di un catalogo che è diventato in poco tempo vastissimo, ma ognuno ha delle simpatie, anche in ambito editoriale. Di De Carlo ricordo un titolo di successo, Due di due, preso e letto molti anni fa nella collana "Miti" di Mondadori. Ora, con questo Una di Luna, mi sembra che si sia fatto leva su quel successo e sulla memoria di quel titolo per dare un titolo al nuovo libro che costituisce il debutto per la casa editrice. Fin troppo evidente è la (minima) distanza tra "Due di due" e "Una di Luna". Struttura simile, con piccola variazione: "Una di Luna" si avvicina davvero a un "Una di *una". Credo che queste dinamiche si siano palesate nel momento della scelta del titolo che, come si sa, nell'ambito dell'editoria, ha sempre qualche potenziale e ricaduta sulla percezione e vendita di un libro (il titolo è il product naming dell'editoria, in fondo). Gli esempi sono molteplici e interessanti diventano anche le vicende dei titoli tradotti, ma questa è un'altra storia.

lunedì 10 settembre 2018

Epic fail o adattamento? Coca-Cola e il rebranding di Fuze Tea nella Svizzera tedesca

Un milione di franchi, a tanto ammonta il costo dell'operazione di rebranding dell'iced tea di Coca-Cola Fuze, una marca che inizia a farsi notare anche nel panorama italiano da qualche tempo, in un mercato vivace qual è quello delle bibite alternative da consumare fresche. Il punto è presto spiegato: il brand "Fuze", che intende essere una parola-nome che evoca gusto, frutta, mescolanza, così come scritto, con la lettera "z", nella Svizzera di lingua tedesca evoca le parti intime femminili. Chiaramente, in una situazione del genere, ci avviciniamo a uno dei classici casi di epic fail del naming. In questo caso però non si può però parlare di epic fail, perché il brand "Fuze" esiste da molti anni, dal 2000, e la crescita importante della marca ha attirato l'attenzione di Coca-Cola circa una decina d'anni fa, quando il colosso acquisì il brand nel suo portafoglio, già ricco di marchi. Il problema con la Svizzera di lingua tedesca si riscontra pertanto solo nel momento in cui il brand si espande e migra altrove. È più corretto quindi parlare di rebranding con adattamento (tra l'altro, secondo la pagina Wikipedia linkata sopra, il marchio "Fuse" è adottato come alternativa anche in Turchia). E la Germania? Lì quella parte intima femminile si pronuncia con la "o" e per tale motivo non si è optato per un rebranding anche in quel paese.

lunedì 3 settembre 2018

Come chiamare la carne di laboratorio ovvero il punto sulla "clean meat"

Il mondo cambia velocemente, le abitudini alimentari anche e sono spesso nel cono d'attenzione. Questo fatto comporta necessità di ridefinizione semantica anche nel mondo del business e del consumo. Abbiamo già visto il caso del "sapone non sapone", e ora anche un articolo di "Wired" pone il problema di come chiamare qualcosa che ha tutte le caratteristiche chimiche e magari organolettiche della carne ma che non è la solita "carne prodotta da macellazione" che si è soliti acquistare e consumare, insomma, la carne creata in laboratorio, la "clean meat". In questo contesto tralasciamo il punto di vista chimico, che ci dice che una porzione di carne macellata e una porzione di "clean meat" possono essere identiche e concentriamoci sull'aspetto del processo di produzione e, conseguentemente, su quello della vendita e del consumo di queste due diverse porzioni. Qui, come sempre, starà il nostro accento e il nostro punto di vista. Si tratta di qualcosa di curioso: il linguaggio ordinario deve inventare il nome che non esiste, sostituendosi a qualcosa di ben sedimentato nell'immaginario alimentare mondiale (deve inventare una product category). In questo scenario chi primo arriva potrebbe inventare il brand che dà il nome alla nuova categoria merceologica, come è successo tante volte con prodotti innovativi. Ma qui ci stiamo avvicinando a un problema che sembra più sostanziale e generalizzato: se da sempre la carne è carne, come chiamare qualcosa che può essere chimicamente e magari anche dal punto di vista organolettico identico alla carne ma che è stato prodotto senza l'uccisione di animali? Nella foto accanto, un recente libro di Paul Shapiro intitolato Clean Meat: How Growing Meat Without Animals Will Revolutionize Dinner and the World che affronta proprio questo tema al quale abbiamo accennato. Il punto è se si imporrà la dicitura "clean meat" oppure se assisteremo all'affermarsi di una nuova dicitura per la categoria di prodotto, che inevitabilmente diventerà una sorta di brand.