giovedì 17 gennaio 2019

Priceless e wordless: Mastercard toglie il nome dal logo e si riapre una vecchia questione

È di pochi giorni fa la notizia del rebranding attuato da Mastercard, che prevede la rimozione la parola "Mastercard" dal proprio logo, lasciando solamente il cerchio rosso e il cerchio arancione (che qualcuno definisce giallo) in parziale sovrapposizione. La scelta ricorda altri precedenti illustri come Nike e Apple ed è stata presa dopo aver soppesato, in sede di test, che circa l'80% del campione intervistato riconosceva il logo anche senza parola. In futuro, nella maggior parte dei materiali, troveremmo quindi solo i due cerchi. Molto si è discusso in passato anche del caso di Nike, che a onor del vero è tornata a utilizzare in molti contesti la parola-nome. Questo fatto, quando accade, non ci parla però di una debolezza del naming rispetto all'identità visiva. Semmai ci ricorda che comunque quel simbolo è collegato - e deve essere collegato - a una parola-nome. Insomma, l'ancoraggio è sempre con il nome, che resta il vero fulcro del sistema (ogni business, del resto, necessita di un nome). E resta da chiedersi quanto la fortuna del verbal branding attuato con le campagne pubblicitarie di Mastercard, ovunque "priceless", abbia influito anche in questa ulteriore sottrazione di nome dall'identità visiva. Insomma, c'è da pensare che questa scelta di togliere le parole nasca anche dalle stesse parole che hanno fatto la fortuna del brand in questi ultimi anni di sviluppo: priceless and wordless.

lunedì 7 gennaio 2019

Le supposte eva/qu: quando l'identità visiva gestisce eventuali ambiguità del naming

In televisione l'inverno è un gran carosello di spot per tosse o influenza. Ma sotto le feste anche l'aspetto digestivo è preponderante: bruciori di stomaco, stitichezza e chi più ne ha più ne metta. E dopo le grandi mangiate si presuppone che debbano avvenire grandi sedute di evacuazione, altrimenti sono guai. Ecco allora eva/qu, che però non è propriamente un lassativo, bensì una supposta effervescente che favorisce la necessaria spinta per l'evacuazione, appunto. E proprio "supposte evacuanti - stimolo effervescente" è quanto si legge nella confezione. Chiaramente il naming deriva da "evacu-are" e da "evacu-azione". C'è la curiosità però dello scorporo del nome "Eva" nel logo del prodotto, quasi a offrire una connotazione femminile al farmaco. Quando ho sentito (senza vederlo) lo spot ho sorriso perché sembrava un naming foneticamente vicino alla parte anatomica dove la supposta va applicata. Non sarà quindi un caso che il naming preveda l'inserimento della lettera "Q" al posto della "C" della parola "evacuare" e la barra a separare "eva" da "qu"? E anche il corpo più piccolo della lettera "u" nel logo lascia pensare che l'identità visiva del farmaco voglia evitare eventuali ironie sul nome e sul suo suono. Ecco un esempio di come un nome potenzialmente ambiguo, almeno in parte, possa essere gestito con un'attenta considerazione dell'identità visiva.