venerdì 7 aprile 2017

"Language design. Guida all'usabilità delle parole per professionisti della comunicazione" di Yvonne Bindi

Questo blog tratta principalmente di problematiche legate al naming e ai nomi di marche e prodotti. Tuttavia, sin dal suo sottotitolo, è chiaro l'interesse per ciò che è "microtesto". Ora, prima di procedere bisognerebbe definire bene cos'è un microtesto, ma facciamo finta di esserci intesi e di accontentarci delle nostre intuizioni e che il pulsante (pulsante?) arancione che io vedo ora nell'interfaccia di gestione di questo blog in alto a destra e che dice "Pubblica" sia un chiaro esempio di microtesto. Sono 4 i pulsanti in alto a destra nello schermo, uno dice appunto "Pubblica", uno "Salva", un altro "Anteprima" e infine "Esci". "Pubblica" ha un colore diverso dagli altri tre. La cosa interessante è che tre su quattro danno un ordine sotto forma di verbo, mentre "Anteprima" no. Chi progetta simili interfacce, chi si occupa di terminologia o anche chi si occupa di verbal branding e chi si interessa di architetture dell'informazione, sa bene quante problematiche ponga l'uso delle parole a un livello micro. Lo sa bene anche Yvonne Bindi, laureata in Comunicazione Internazionale, che è architetto dell’informazione ed esperta di linguaggio e comunicazione, e da poco ha dato alle stampe per Apogeo il libro Language design. Guida all'usabilità delle parole per professionisti della comunicazione (pp. 216, euro 24,90). Quando scrive "Progettare per il tempo vuol dire non pensare mai prima o poi lo capiranno. Devono capirlo prima. Punto e basta." dice qualcosa che è valido anche per il nostro naming, qualcosa valido in tutti quegli utilizzi in cui la lingua è scommessa di comprensione, interfaccia disegnata in anticipo (e in fondo potrebbe essere interessante studiare i nomi di marche proprio come "interfacce" e dispositivi che interagiscono con logo, packaging, ambienti e situazioni comunicative reali e virtuali).

Il libro in questione va inquadrato come un importante contributo a quanto cade sotto l'etichetta di "user experience design" e se vogliamo anche al grande capitolo del "fare cose con le parole", anche se non di atti linguistici propriamente si parla. Progettare e disporre l'informazione è un compito delicato, difficile, mai scontato. Segnaliamo questo volume di Yvonne Bindi in un blog dedicato al naming e ai microtesti perché è una lettura significativa per chiunque si occupi di marketing e di quella parte del lavoro di marketing e comunicazione che è direttamente collegato a lavori con le parole, all'interazione parola e immagine (e anche il naming e il verbal branding prevedono questa interazione). Insomma, le parole sono interfacce importantissime di qualsiasi ambiente informativo e di qualsiasi progetto di comunicazione e spesso creano divergenze e sprechi nei meccanismi della comprensione. Per Donald Davidson è la comprensione che dà vita al significato, non viceversa, ma in tutti quei sistemi in cui serve massimizzare lo sforzo per far sì che la comprensione diventi un fenomeno certo e raggiungibile nel più grande numero di casi (e nel minor tempo possibile), serve fare in modo che si riduca al massimo il rischio di incomprensioni sorte da un inappropriato utilizzo delle parole. Gli esempi contenuti nel volume sono moltissimi e trasformano questo libro in uno strumento molto duttile, in grado di intercettare interessi molteplici. In un passaggio dedicato proprio ai nomi si legge:
Un nome è già di per sé una piccola definizione, uno spazio concettuale molto più ampio dello spazio fisico che occupa. Può contenere molto profumo dell’informazione rispetto a ciò a che indica: può cioè anticipare e suggerire l’essenza della cosa nominata e fornire un assaggio della sua natura.

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