D: A una
terminologa intervistata in un blog sul naming chiedo innanzitutto cosa pensa
del naming, se è qualcosa che segue con attenzione e che cosa ha eventualmente
imparato da questo, visto che terminologia e naming sono per molti aspetti dei
territori attigui?
R: Il naming è un uso creativo delle parole e in quanto “word lover” e appassionata di terminologia, mi viene del tutto naturale esserne incuriosita. Io poi ho una particolare predilezione per i neologismi e i nomi dei brand sono spesso dei neologismi.
R: Il naming è un uso creativo delle parole e in quanto “word lover” e appassionata di terminologia, mi viene del tutto naturale esserne incuriosita. Io poi ho una particolare predilezione per i neologismi e i nomi dei brand sono spesso dei neologismi.
D: Dicevo
che terminologia e brand naming possono essere considerati territori attigui.
Ma sei d'accordo con questa affermazione? E se sì, quali le comunanze e quali
le specificità di ciascuna di queste due pratiche specialistiche?
R: Credo che il punto di unione tra i due territori sia rappresentato dalla “corporate terminology”. Le aziende vogliono essere identificate velocemente, chiaramente e positivamente dai loro potenziali clienti e dal pubblico. Il nome adottato dall’azienda e la relativa terminologia utilizzata devono dare forma e rafforzare l’identità dell’azienda, ovvero l’identità del marchio. C’è una azienda negli Stati Uniti , la Lexicon, che ha creato i nomi dei brand più famosi come BlackBerry, Febreze, Pentium, beh, dietro a queste grandi creazioni c’è un intero team di 70 esperti linguistici, da 50 paesi diversi[1].
R: Credo che il punto di unione tra i due territori sia rappresentato dalla “corporate terminology”. Le aziende vogliono essere identificate velocemente, chiaramente e positivamente dai loro potenziali clienti e dal pubblico. Il nome adottato dall’azienda e la relativa terminologia utilizzata devono dare forma e rafforzare l’identità dell’azienda, ovvero l’identità del marchio. C’è una azienda negli Stati Uniti , la Lexicon, che ha creato i nomi dei brand più famosi come BlackBerry, Febreze, Pentium, beh, dietro a queste grandi creazioni c’è un intero team di 70 esperti linguistici, da 50 paesi diversi[1].
D: Qual
è la tua formazione? E qual è oggi, nello specifico, il tuo lavoro?
R: Al momento mi occupo della gestione dei contenuti web di alcuni siti della Comissione europea, la mia formazione è un mix di traduzione, giornalismo e web. Nello specifico, mi sono laureata in lingue e letterature straniere all’Universita La Sapienza di Roma e ho frequentato un master in traduzione e interpretariato alla Gregorio VII a Roma, dove mi sono specializzata in traduzione giornalistica. Successivamente ho lavorato per tre anni presso una agenzia di rassegna stampa e media monitoring, la quale è stata la mia vera e propria scuola di formazione. Ogni giorno traducevo articoli dalla stampa estera (in lingua inglese e tedesca) verso l’italiano, un’attività molto simile a quella che viene fatta dalla rivista Internazionale. È stata una bellissima esperienza, ero aggiornata su tutto ed ero in grado di adottare le differenti terminologie legate ai differenti settori, in particolare mi ero specializzata nella terminologia relativa alle relazioni internazionali e all’economia e finanza. Proprio grazie alla conoscenza di quest’ultima sono approdata al Ministero dell’Economia come addetta alla rassegna stampa, precisamente al Dipartimento delle Finanze. Poi sono passata al web lavorando come web content editor presso la Corte dei Conti e la Ragioneria Generale dello Stato. Infine sono venuta qui in Lussemburgo per un tirocinio di 6 mesi all’unità di terminologia del Parlamento europeo e successivamente sono stata assunta dalla Intrasoft international.
R: Al momento mi occupo della gestione dei contenuti web di alcuni siti della Comissione europea, la mia formazione è un mix di traduzione, giornalismo e web. Nello specifico, mi sono laureata in lingue e letterature straniere all’Universita La Sapienza di Roma e ho frequentato un master in traduzione e interpretariato alla Gregorio VII a Roma, dove mi sono specializzata in traduzione giornalistica. Successivamente ho lavorato per tre anni presso una agenzia di rassegna stampa e media monitoring, la quale è stata la mia vera e propria scuola di formazione. Ogni giorno traducevo articoli dalla stampa estera (in lingua inglese e tedesca) verso l’italiano, un’attività molto simile a quella che viene fatta dalla rivista Internazionale. È stata una bellissima esperienza, ero aggiornata su tutto ed ero in grado di adottare le differenti terminologie legate ai differenti settori, in particolare mi ero specializzata nella terminologia relativa alle relazioni internazionali e all’economia e finanza. Proprio grazie alla conoscenza di quest’ultima sono approdata al Ministero dell’Economia come addetta alla rassegna stampa, precisamente al Dipartimento delle Finanze. Poi sono passata al web lavorando come web content editor presso la Corte dei Conti e la Ragioneria Generale dello Stato. Infine sono venuta qui in Lussemburgo per un tirocinio di 6 mesi all’unità di terminologia del Parlamento europeo e successivamente sono stata assunta dalla Intrasoft international.
D: Quello
che accomuna il lavoro del terminologo e quello di chi si dedica al naming e
quindi ciò che, in sostanza, li fa comparire in questo blog, è un'attenzione al
microtesto. Nel tuo lavoro tu ti occupi dell'aspetto micro. Hai colleghi che si
occupano dell'aspetto macrotestuale? E se sì, qual è il loro lavoro?
R: Io mi occupo di entrambi. Mi spiego meglio: io scrivo i contenuti di alcuni siti della Comimssione europea basandomi su testi scritti in “legalese” come le direttive UE per esempio, che non sono assolutamente “web-friendly”, e li rendo facilmente “digeribili” ad un pubblico generico. Questo testo ad esempio è tratto da questo documento. Ovviamente tutto il mio lavoro viene revisionato dai referenti della Commisione europea. Riguardo alla parte piu strettamente terminologica, sono “linguistic tester” di siti multilingue come e- Justice, ovviamente nelle lingue che conosco. Si tratta non solo di verificare che tutti i contenuti siano stati correttamente tradotti, ma anche di verificare che all’interfaccia e alle relative funzioni siano stati assegnati i termini appropriati per non causare frustrazione nell’utente. Mi è capitato di trovare “login” tradotto come “registrati”, per esempio.
R: Io mi occupo di entrambi. Mi spiego meglio: io scrivo i contenuti di alcuni siti della Comimssione europea basandomi su testi scritti in “legalese” come le direttive UE per esempio, che non sono assolutamente “web-friendly”, e li rendo facilmente “digeribili” ad un pubblico generico. Questo testo ad esempio è tratto da questo documento. Ovviamente tutto il mio lavoro viene revisionato dai referenti della Commisione europea. Riguardo alla parte piu strettamente terminologica, sono “linguistic tester” di siti multilingue come e- Justice, ovviamente nelle lingue che conosco. Si tratta non solo di verificare che tutti i contenuti siano stati correttamente tradotti, ma anche di verificare che all’interfaccia e alle relative funzioni siano stati assegnati i termini appropriati per non causare frustrazione nell’utente. Mi è capitato di trovare “login” tradotto come “registrati”, per esempio.
D: Ci parli di qualche nome di marca che ti
piace e che trovi particolarmente intelligente, magari attingendo a esempi
recenti?
R: Mi ricordo quando da piccola a scuola un professore ci spiegò che il nome della marca degli zaini che usavamo tutti, gli “Invicta”, veniva dal latino “invincibile”. Mi ricordo che ne rimasi cosi affascinata e che da allora iniziai a guardare ai nomi dei brand con un certo interesse. Scoprii che “Q8” veniva da “Kuwait” e che “Kinder” significava “bambini” in tedesco. L’interesse non è svanito negli anni ma anzi si è acuito e ha trovato sfogo nel mio blog, dove appunto alcuni neologismi che mi colpiscono a che in alcuni casi sono anche nomi di brand come ad esempio il payoff “Enjoyneering”, usato da Seat: un blend di “enjoying” ed “engineering”.
Un settore che anche mi affascina è quello della moda: qui la creatività del linguaggio raggiuge i massimi livelli: neologismi e mix di lingue diverse, una vera delizia! Molti neologismi della moda li ho postati su un altro blog che si chiama Fashion Lingo. Ad esempio, un post l’ho dedicato al clamoroso successo del brand UGG, il famoso marchio di calzature, abbigliamento e accessori di moda, si quegli orribili stivali di montone. Il nome infatti suona come “ugh”, espressione di disgusto. Pare che il nome derivi dagli stivali utilizzati dagli aviatori australiani durante la prima guerra mondiale. Il termine era una abbreviazione di “flying ugg boots” dove “ugg” era un termine generico usato in Australia e in Nuova Zelanda per gli stivali di montone. Il produttore di queste stivali ha detto che l’ispirazione per il nome gli era venuto da sua moglie, che definiva questi stivali “ugly boots”. Sorprendentemente, gli orrendi stivali dall’orrendo nome hanno avuto un enorme successo. Un grande nome può fare la differenza, ma a volte anche un nome mediocre può avere un inaspettato successo. Il caso non è isolato se pensiamo che i brand piu popolari sono Microsoft, Walmart e General Electric: un nome mediocre non sempre segna negativamente il destino di un prodotto.
Un altro aspetto che mi diverte è come in Italia il nome di un brand internazionale pronunciato in maniera sbagliata possa diventare più popolare del nome pronunciato correttamente. Se dico “colgeit” quasi nessuno potrebbe capire che mi riferisco al dentifricio “Colgate”, idem per “ma’rlboro”. H&M è più conosciuto come “accaemme”, Volkswagen come “vosvagen” e Burberry come “barbery” e non come “barbry”[2]. L’effetto comico o creativo delle difficoltà di pronuncia delle lingue straniere è frequente in Italia (non siamo gli unici comunque). La pronuncia corretta di certi nomi che sono di uso quotidiano ormai da tanti anni non è ancora conosciuta da molti che di fatto spesso li ribattezzano come si leggono. Date un’occhiata a come questo simpaticissimo post ci suggerisce la pronuncia esatta dei brand.
D: E per finire un desiderio. Se ti fosse data l'opportunità di nominare un prodotto o un brand, su quale tipo di prodotto ti piacerebbe lavorare?R: Mi ricordo quando da piccola a scuola un professore ci spiegò che il nome della marca degli zaini che usavamo tutti, gli “Invicta”, veniva dal latino “invincibile”. Mi ricordo che ne rimasi cosi affascinata e che da allora iniziai a guardare ai nomi dei brand con un certo interesse. Scoprii che “Q8” veniva da “Kuwait” e che “Kinder” significava “bambini” in tedesco. L’interesse non è svanito negli anni ma anzi si è acuito e ha trovato sfogo nel mio blog, dove appunto alcuni neologismi che mi colpiscono a che in alcuni casi sono anche nomi di brand come ad esempio il payoff “Enjoyneering”, usato da Seat: un blend di “enjoying” ed “engineering”.
Un settore che anche mi affascina è quello della moda: qui la creatività del linguaggio raggiuge i massimi livelli: neologismi e mix di lingue diverse, una vera delizia! Molti neologismi della moda li ho postati su un altro blog che si chiama Fashion Lingo. Ad esempio, un post l’ho dedicato al clamoroso successo del brand UGG, il famoso marchio di calzature, abbigliamento e accessori di moda, si quegli orribili stivali di montone. Il nome infatti suona come “ugh”, espressione di disgusto. Pare che il nome derivi dagli stivali utilizzati dagli aviatori australiani durante la prima guerra mondiale. Il termine era una abbreviazione di “flying ugg boots” dove “ugg” era un termine generico usato in Australia e in Nuova Zelanda per gli stivali di montone. Il produttore di queste stivali ha detto che l’ispirazione per il nome gli era venuto da sua moglie, che definiva questi stivali “ugly boots”. Sorprendentemente, gli orrendi stivali dall’orrendo nome hanno avuto un enorme successo. Un grande nome può fare la differenza, ma a volte anche un nome mediocre può avere un inaspettato successo. Il caso non è isolato se pensiamo che i brand piu popolari sono Microsoft, Walmart e General Electric: un nome mediocre non sempre segna negativamente il destino di un prodotto.
Un altro aspetto che mi diverte è come in Italia il nome di un brand internazionale pronunciato in maniera sbagliata possa diventare più popolare del nome pronunciato correttamente. Se dico “colgeit” quasi nessuno potrebbe capire che mi riferisco al dentifricio “Colgate”, idem per “ma’rlboro”. H&M è più conosciuto come “accaemme”, Volkswagen come “vosvagen” e Burberry come “barbery” e non come “barbry”[2]. L’effetto comico o creativo delle difficoltà di pronuncia delle lingue straniere è frequente in Italia (non siamo gli unici comunque). La pronuncia corretta di certi nomi che sono di uso quotidiano ormai da tanti anni non è ancora conosciuta da molti che di fatto spesso li ribattezzano come si leggono. Date un’occhiata a come questo simpaticissimo post ci suggerisce la pronuncia esatta dei brand.
R: Nell’ambito della moda, ma forse sarebbe troppo facile... forse nel settore farmaceutico, i nomi che vengono dati ai medicinali in Italia sono tra i più brutti in assoluto. Basti pensare a Benagol o ad Ansiolin[3], al contrario dei nomi dati ad alcuni farmaci molto famosi come Viagra e Prozac[4] . In italiano sarebbe una bella sfida renderli più... attraenti, ma forse sarebbe uno sforzo inutile perché non auguro a nessuno di comprarli.
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