I giorni scorsi Luisa Carrada, che non dovrebbe aver bisogno di presentazioni presso un pubblico che si interessa di scrittura e parole ma di cui ricordo ancora una volta l'interessantissimo sito "Il mestiere di scrivere", chiedeva via Twitter a Linda Liguori e al sottoscritto se secondo noi "i nomi brutti funzionano". Rimandava a questo articolo apparso su "Racked". L'articolo parla di diversi aspetti e si interroga sui nomi che superano il confine del buon gusto (in altri tempi forse si sarebbe parlato di "decoro"). Si tratta di un pezzo interessante e invito a leggerlo. In merito alla domanda, cioè sul "funzionare" dei nomi brutti, non credo vi sia una risposta univoca. Quello che penso però è che sia in atto una battaglia di visibilità spesso disperata che si gioca ovviamente (e inizialmente!) anche con nomi ad effetto, apparentemente coraggiosi. Ma al di là di questo, lo spunto interessante di Luisa Carrada è utile per rimandare a un concetto semplice quanto spesso dimenticato: nominare è anche un'azione sociale e politica, quindi ha peso e rilevanza. Per tanti versi l'azione di naming è ideologica ed ha evidenti ricadute sociolinguistiche. Tanto più un naming presenterà determinate derive nei conteninenti spesso imperlustrabili della connotazione globale tanto più sarà difficile controllarne tutte le sfumature. Di certo nomi come "Orgasm" della Nars (il prodotto nella foto) nascono da una decisione o provocazione che sta a monte (e non per una pericolosa scoperta connotativa che sta a valle, magari con lo sbocco del prodotto e del suo nome in un dato mercato/lingua dove si troverò a rivestire significati peculiari).
Sarai curioso di sapere se l'effetto di un naming del genere sulle persone in target, a conti fatti, assomigli da vicino all'indifferenza.
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