sabato 27 agosto 2011

Linda Liguori, tra brand naming e creatività

Interviste a chi il naming lo fa #3

Quando nel 2001 mi avvicinai a Nomen Italia per curare l'aspetto operativo della tesi di laurea sul brand naming, ad accogliermi trovai una cortesissima filosofa "prestata" al naming: Linda Liguori. Sono passati dieci anni. Linda Liguori è ancora più che mai operativa nel settore, anche se, come ci spiega nell'interessante intervista che ha gentilmente rilasciato via mail, si è via via impegnata nell'ambito di una consulenza di branding globale, dove la creatività occupa un posto davvero centrale.



AC: Brand naming e creatività, questo è quello di cui ti "occupi" oggi. C'è un aspetto che prevale?
LL: La creatività è alla base del naming, è proprio il cuore di un processo di ricerca di nome. Uso la metafora del cuore perché mette insieme l'emozione e la forza, il sangue e il motore.
Per ogni ricerca creativa c'è sempre un processo che parte da una attenta comprensione e percezione del prodotto e del contesto, porta ad una rielaborazione anche analitica di tutte le informazioni, finalmente lancia la fase creativa, poi guida la selezione mirata di tutti i risultati e infine provvede all'applicazione e alla costruzione di una strategia forte per il prodotto o il servizio. Questo procedimento è mirabilmente sintetizzato dalla metodologia P.A.P.S.A. (acronimo delle fasi del processo), sviluppata da Hubert Jaoui, uno dei massimi professionisti del pensiero creativo e che si applica perfettamente al naming. Sono "nata" professionalmente nel naming ma oggi mi capita anche di guidare processi di ricerca creativa che cominciano ben prima dell'individuazione del nome. Mi riferisco a quando si lavora insieme al team di marketing e di R&S di una azienda per far nascere un nuovo prodotto, un concept, estendere un posizionamento, sviluppare una strategia di branding o anche solo di comunicazione. Il naming si integra perfettamente in questo sistema, e il mio lavoro si arricchisce di una fase "originaria", (come la levatrice che entra nel parto del prodotto) e della fase operativa: il lancio del prodotto nell'universo.

AC: Da molti anni sei immersa nel brand naming. Hai notato dei cambiamenti nella percezione che il management aziendale ha della risorsa brand naming o nel modo in cui viene "erogato" il servizio di brand naming da parte di agenzie o strutture specializzate?
LL: Ho cominciato ad occuparmi di brand naming nel 1993 partecipando ai miei primi brain storming e addirittura prima, quando nella mia tesi di laurea (una tesi sul simbolo per il corso di laurea in filosofia) ho parlato del potere rappresentativo e simbolico (a volte dia-bolico!) dei nomi commerciali.
Da allora certo che il mercato si è mosso, e su entrambi i fronti dell'offerta di servizio e della "raccolta" da parte delle aziende. Su quest'ultimo aspetto ho notato in questi anni che c'è una maggiore sensibilità ed attenzione al tema del brand naming e della sua importanza per lo sviluppo e il successo di una marca.
La riflessione sul naming compare persino nei master di specializzione e nelle università e scuole di formazione, per cui i futuri responsbili della marca assimilano nozioni importanti agli inizi delle loro carriere.
Questo non è sufficiente ad eliminare la tendenza molto italiana al fai-da-te e al semplicismo, per cui capita anche oggi di intervenire su un problema (il nome pensato in interno non si può utilizzare ma le confezioni di prodotto sono già pronte per ospitare un nome corto, per cui bisogna assolutamente individuare un nome corto e con una sequanza consonantica particolare...) e non su un'opportunità.
Spesso poi le aziende si rivolgono alle loro agenzie di comunicazione per far studiare il nome, ed è difficile che all'interno di una agenzia anche grande, ci sia una risorsa competente su un tema che ha molto aspetti da presidiare e che diventa ogni giorno più complesso.
Devo però dire che si sta evolvendo anche l'offerta di servizi di naming: se quindici anni fa le agenzie e i consulenti di marketing si cimentavano nella ricerca di nomi "su preghiera" del cliente, e ritenendo comunque il naming una grossa seccatura aggiuntiva, oggi all'interno dell'agenzia il nome e il naming è diventato un prodotto, con un prezzo, a volte un iter di ricerca, e in alcuni casi anche di verifica.
Spesso però vengo "assoldata" dalle agenzie che hanno provato a risolvere il problema con le loro forze, ma che alla fine si sono arenate.

AC: Quali nomi ti piacciono di più? So di farti una domanda apparentemente stupida, perché la logica del mi piace/non mi piace non dovrebbe mai essere presente in questi discorsi. Ma vorrei una risposta "di pancia", per valutare più la reazione che la risposta in sé.
LL: No Alberto, non è una domanda stupida, e soprattutto è la domanda che mi sento rivolgere con più frequenza; comunque nella scelta, come nella valutazione di un nome, è difficile essere vergini rispetto a questa dimensione emotiva e viscerale, che naturalmente è presente.
La cosa importante è riconoscere la percentuale di soggettività e integrarla con una valutazione più riflessa, intenzionale, che tenga conto dell'adeguatezza di quello specifico nome al prodotto, alla storia della marca, al contesto, al mercato.
Di pancia, un nome che mi è piaciuto dall'inizio e che continua a piacermi è ALICE ® di Telecom Italia. Una sorpresa quando è comparso lustri fa, e una scatola magica di evocazioni positive, ricche, potenti, anche se forse non così ben sfruttate. Un altro nome in cui mi sono imbattuta per una ricerca recente e che ha la mia approvazione è preso dal mercato americano: è GO-GURT ® il nome per uno yogurt "da passeggio", per bambini, che ... finisce direttamente in bocca. È semplice, simpatico, ammiccante. Un nome azzeccato non è per forza un nome colto, evocativo, eufonico. A volte la semplicità paga.
Un nome a cui sono molto affezionata è NATUI ®, studiato recentemente per una linea di prodotti alimentari esotici freschi del Gruppo Tenua. Sin dalle prime fasi della ricerca, quando è "spuntato" questo nome c'è stato pieno accordo con il team aziendale di lavoro, e dopo pochi mesi eccolo sullo scaffale.
Anche il nome GIRAVOLTE ® per le cotolette di formaggio impanato, è tra i miei preferiti: ludico, grintoso, con un forte profilo emotivo. Quando anni fa è stata svolta la ricerca creativa il nome doveva firmare una nuova proposta Invernizzi di Kraft. Ora che il prodotto è passato sotto l'emiliana Casa Modena viene persino accentuato il suo valore casereccio e artigianale.

AC: Ci sono dei settori nei quali ti piace particolarmente operare e che magari analizzi con più frequenza? E c'è un settore che, dal punto di vista del naming, ti sembra più vivace di altri?
LL: Come si può ricavare dalla risposta precedente, il settore alimentare mi stimola moltissimo. Una deformazione personale, oltre che professionale mi porta verso tutto ciò che è mangereccio e bevereccio, e che risulta molto concreto.
Si tratta di prodotti reali, che si possono toccare, vedere, che sono protagonisti delle scene urbane, della comunicazione, e che si trovano nei supermercati. Una visibilità molto diversa rispetto a prodotti sicuramente più astratti come i servizi finanziari e bancari.
Devo però dire che il settore finanziario, come anche il settore delle utilities, si sta distinguendo per vivacità ed efficacia nel naming e nella comunicazione, ben più di quanto faccia il settore del food e beverage. Penso ai nomi dei prodotti bancari per i privati e la piccola impresa, e ad alcuni casi come SPIDER ® di Monte Paschi di Siena, CONTO MOLTO ® di Antonveneta, FEELFREE ® di Banca Popolare di Vicenza.
Anche le società di fornitura di energia e gas stanno attraversando il momento d'oro dopo la liberalizzazione, e credo che siano al punto di ampio sviluppo già vissuto ed ormai "usurato" in un altro settore: quello della telefonia mobile e fissa che da una decina di anni ci sommerge di nomi di pacchetti, abbonamenti, servizi, che oggi suonano deboli e ripetitivi.

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