Tempo fa feci a meno di scrivere sul naming degli uragani, anche se l'argomento era all'ordine del giorno e forse meritava un post. Dopo una simile estate, dove la mitologia s'è fatta meteorologia, qualche breve appunto sul tema del naming in meteorologia va fatto.
Dare un nome alle ondate di calore ha senso perché forse agevola la comunicazione, consente paragoni, più facili archiviazioni, statistiche e comparazioni a distanza di anni. Ma soprattutto il naming in meteorologia è stato ampiamente abbracciato dal giornalismo. L'ho già scritto, parlando di "naming delle notizie": la notizia è una merce tra le altre, anche se delicata, con uno statuto proprio e peculiare (almeno nella teoria). E per vendere un prodotto-notizia potenzialmente "vuota" come il caldo o il freddo, disporre di alcuni nomi-brand può essere un vero e proprio aiuto. Tutto questo si inquadra poi dentro una cornice del tutto peculiare di grande, a volte incomprensibile, interesse per il meteo. App per cellulare, siti che spopolano con picchi di traffico inimmaginabili, discorsi d'ufficio sul meteo anche quando ci attende un weekend indoor. Se ci pensate, c'è qualcosa che non va in tutto questo strano interesse per il meteo, che poi è un interesse frammentato, da bar (come spesso è stato anche in passato), rigorosamente concentrato sull'oggi e che non lascia spiragli a un interesse per l'evoluzione meteo e climatica nel lungo-lunghissimo periodo. In questo quadro, un nome come "Caronte" aiuta a vendere meglio il prodotto-notizia relativa al meteo. Allora sembra quasi di poterlo domare questo caldo dal nome di "Caronte", fa forse meno paura se conosciamo almeno il suo nome, il suo volto, "dimonio, con occhi di bragia".
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