venerdì 14 settembre 2012

Com'è la Coca-Cola a Shenzhen? Il brand naming in Cina #1


Vorrei prendere spunto da questo non recentissimo articolo del New York Times per aprire un nuovo filone di post di questo blog: un percorso, sicuramente ad ostacoli, nell'affascinante mondo della traduzione/ricreazione del brand name in cinese. Si tratta di un argomento molto sentito dalle aziende italiane e comunque dai brand occidentali in genere, sia perché riguarda un mercato potenzialmente vastissimo sia perché impatta nel mercato principale che sale agli onori della cronaca quando si pensa a problematiche di tutela legale e di contraffazione del marchio. Il passaggio chiave dell'articolo del NYT è, a mio avviso, il seguente:

And so the art of picking a brand name that resonates with Chinese consumers is no longer an art. It has become a sort of science, with consultants, computer programs and linguistic analyses to ensure that what tickles a Mandarin ear does not grate on a Cantonese one.

Sono righe che stanno a dimostrare tutte le difficoltà di avvicinare il lavoro sul nome di azienda, di marca e di prodotto in un paese come la Cina. In passato si sono valutate molte strade di traduzione, traslitterazione, traduzioni letterali o pseudotraduzioni, magari inseguendo un "addomesticamento" dei nomi occidentali nel mercato asiatico. Quello che scopriamo leggendo l'articolo di Michael Wines è un mondo di rompicapi affascinanti, che toccano le diverse sfere della lingua, della comunicazione verbale e visiva e che chiamano a raccolta competenze plurime. In fin dei conti è proprio questo il bello e il difficile dell'arte-scienza del naming: vivere in un'area indefinita che copre linguistica, sociolinguistica, semiotica, fonetica, marketing e diritto. Tenere assieme tutte queste competenze non è un lavoro facile, questo assunto di base credo che oramai sia chiaro a tutti i lettori del blog.

Nessun commento:

Posta un commento