Anche i panini sono brand. McDonald's ha fatto scuola, timidamente Autogrill con i suoi "Capri" e "Vesuvio" fa qualcosa di simile. E nel paese del furbo slow food il fast food deve adeguarsi. E dopo i panini griffati da Gualtiero Marchesi (insuccesso?), ecco il panino McItaly, presentato con il patrocinio del Ministero delle politiche agricole. Per chi l'ha visto, lo spot televisivo appare come un concentrato di stereotipi di italianità: il borgo bellino dell'Italia, aria aperta, vita in campagna, parlate locali, fieno girato con la forca e altre "bucolicità". Non sono contro e non boicotto i fast food e se proprio devo dirla tutta capisco quasi meglio le ragioni del fast rispetto a quelle dello slow. Ma non voglio aprire parentesi immense, che toccherebbero livelli e sensibilità plurime, interessi economici notevoli e tutto all'insegna del "food" che è davvero la sola cosa che ci interessa, in fondo, e che interessa davvero ogni animale. Dico solo che in tempi ostili per l'Italia, la famosa "dieta mediterranea", se esiste ancora, andrebbe quasi messa a bilancio come voce in attivo e andrebbe riconosciuta quantomeno ad un livello europeo, da quei paesi dove il consumo di carne è notevole. Ultimamente, dopo l'azione del cinema, anche gli organi di stampa internazionali, forse con tacito assenso dell'OMS, hanno iniziato a prendere di mira tale consumo massiccio per scovare le falle degli odierni sistemi di allevamento (uso di farmaci, inquinamento, impatto ambientale). Insomma, questa dieta andrebbe riconosciuta nel suo valore "economico" globale e non imbalsamata dentro pratiche simil slow food. Tutto qui.
Ma torniamo al nome del panino: McItaly. Forse l'unica cosa che avrebbe potuto e dovuto fare il Ministero è opporsi, o almeno storcere il naso, davanti a una denominazione del genere. McItaly è il classico naming di multinazionale alla Nestlè o Danone, con un prefisso posto a garanzia (in questo caso il prefisso Mc-). Il nome interpreta al meglio il motto "think globally, act locally" fatto proprio da una multinazionale dell'alimentazione, ma in realtà si limita a brandizzare sotto il proprio cappello nientemeno che un intero paese-brand, che tra l'altro in questi anni presenta notevoli criticità e pochi asset favorevoli (uno è appunto quello del "food"). Da un punto di vista di naming questo nome pare azzeccato, sembra posizionare abbastanza bene la "promessa" del prodotto 100% italiano. Eppure, a ben vedere, siamo arrivati al paradosso del panino 100% italiano, tranne che nel nome. Segno che l'anima di questo panino non è qui. I "Vesuvio" e i "Capri" di Autogrill, coi loro timidi nomi geografici, rischiano di apparire più italiani, anche se magari sono confezionati con prosciutti di importazione. Una multinazionale dovrebbe stare molto attenta a non vanificare gli sforzi e gli investimenti di comunicazione. E visto che anche il naming è comunicazione, nel nome McItaly a mio avviso risiede un errore strategico non trascurabile.
Il finale del tuo articolo mi trova particolarmente d'accordo da un punto di vista di strategia questo appare come un errore... Lorenzo
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