sabato 14 novembre 2015

Se anche "The Economist" dice la sua sua sulle tendenze attuali del naming

Vi invito a leggere l'articolo apparso nel cartaceo di "The Economist" e ora anche qui. Se se ne occupa "The Economist" significa che il problema del naming effettivamente c'è. Si parte da The Nine Billion Names of God di Arthur C. Clarke per parlare quindi di sovraffollamento, di intasamento, di difficoltà a trovare dei nomi nuovi in un panorama popolato dalle start-up fungo. La visuale è quella anglosassone, lucida e tranciante, ma nonostante l'autorevolezza della testata uno può dissentire in alcuni punti o comunque nell'impostazione di fondo. Dopo aver fatto la propria personale carrellata sulle tendenze del naming attuale, smascherando gli aspetti più ridicoli e le mosse più goffamente affannate dei namers, chi scrive l'articolo giustamente conclude che tutto questo indaffararsi per trovare sempre nuovi stratagemmi per denominare fa rimpiangere certe pratiche di naming antiche, come quando una banca prendeva il nome dai fondatori o da una serie di lettere (sigla). Si legge in chiusura "The biggest mistake is to expect too much. Great companies can survive boring names but even the best names cannot save dismal companies". Bella forza, verrebbe da aggiungere. C'è anche un appello al buon senso da parte del giornalista, che può starci. Così come alla possibilità di intravedere una faccia, dietro al nome.

La realtà dei fatti è però diversa e più complicata di come la fa "The Economist", che pure partiva proprio da una constatazione di complessità: spesso il successo di determinate aziende, unito ai trend del naming, alle estetiche in voga di un dato periodo ci fanno piacere un determinato nome e un determinato stile nominale. Ma è il successo che fa la fortuna. Se notassimo un gran successo di aziende denominate a partire dal nome del fondatore saremmo tutti qua a dirci che quella è la strada giusta ecc. Se Google e Yahoo fossero stati due flop completi allora non staremmo qui a parlare del fatto che sono nomi interessanti e ben fatti, che hanno fatto tendenza. Insomma, uno può rimpiangere i tempi e i trend che vuole. La realtà è che i nomi servono ancora e non è affatto facile trovarli, a volte, e per questo ogni strada è sempre aperta. Magari verrà un mondo dove i nomi non saranno più così importanti, saranno più impalbabili, aleatori, volatili e non ci saranno più di tante dispute legali. Sto solo facendo un esercizio di immaginazione. Tuttavia questo mondo mi sembra ancora assai lontano. Potrebbe esser un tema di un racconto di fantascienza di un nuovo Arthur C. Clarke.

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