Non divaghiamo. Accontentiamoci del nome. L'acronimo RED rimanda direttamente al colore istituzionale di Feltrinelli, un colore tra l'altro molto centrato nel mondo gastronomico. Il colore rosso si presta poi ad accompagnare anche l'aspetto "onirico" di questa operazione di naming. Tra RED e READ (ovvero l'originario core business del retail Feltrinelli) c'è solo una A di differenza. Il tutto risulta breve e facilmente ricordabile, come si addice al nome di un posto della città da nominare con un certa frequenza nei dialoghi quotidiani, faccia a faccia o appunto in altre forme dialogiche dell'oggi. L'unica pecca che quest'operazione forse nasconde è l'appellarsi ad una parola inglese per una strategia che invece vuole profumare dell'italianità dell'offerta gastronomica. Il concept pare giungere tempestivo: assistiamo ad una rivincita di tutto ciò che è cibo. La televisione, in questo, ha dei tratti pazzeschi e grotteschi. Anche quel che resta della carta stampata non scherza. Sicuramente la formula di Feltrinelli non è ispirata a Gordon Ramsey, ma si inserisce perfettamente in questo filone di gran protagonismo del cibo, di esibizione e sofisticazione, o di semplicità venduta come nuova sofisticazione. Non sto dicendo che questo sia il caso di Feltrinelli, ma sto dicendo che partire e ritornare al cibo sembra ormai diventato un must. Cibo come social network per antonomasia? Divagazioni...
Solo un'aggiunta. Il pay-off di RED, "Sta bene con tutto", sembra alludere a future forme di stretching dell'offerta. In questo caso il nome RED, nella sua neutralità e nel gran contenitore rappresentato dalla D di Dream pare azzeccato.
(Parlando di libri e cibo: qualche editore ha voglia di tradurre You Aren't What You Eat. Fed up with Gastroculture di Steven Poole?)
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