Il rapporto tra naming e packaging in un paio di esempi
L'altra sera sono passati in rapida successione due spot, quello delle nuove Tic Tac e quello di un prodotto che si chiamava Anitra WC e ora si chiama internazionalmente Duck (per l'azienda che ha il brand in portafoglio, SC Johnson, diventa un nome unico da gestire). In questo secondo esempio ci sarebbe da riflettere su questa doppia traduzione, dall'inglese all'italiano e poi ritorno, con il classico nome monosillabico, situazione che è stata così frequente del mondo dei detergenti (Lip, Bolt, Dash, Prill, Smac, Vim). Ma non è tanto di questo che voglio scrivere e non è tanto questo che ho pensato osservando i due spot in rapida sequenza. Mi veniva in mente che c'è stata - e forse sarebbe da indagare se ha perso smalto - tutta una lunga sequenza di naming che erano strettamente collegati al packaging. Nel caso di Tic Tac è evidente il rimando all'apertura della confezione (originariamente si chiamavano descrittivamente "Refreshing Mints"), mentre in quello del prodotto per WC è chiaro il rinvio alla forma della confezione che agevola il versamento del prodotto nelle parti più inaccessibili del sanitario. Ho scelto la foto sopra però non a caso: nei casi di brand extension la gamma si può arricchire con prodotti che nulla hanno a che fare con le motivazioni originarie del naming (è il caso dei dischi rinfrescanti illustrati in foto). Questo non costituisce un problema se il brand è molto noto e affermato. Forse potrebbe costituirlo in altri casi. Ho comunque la sensazione che si sia indebolita la tendenza di sottolineare nel naming benefici funzionali del prodotto attribuibili al packaging. Non sembra anche a voi?
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