domenica 6 novembre 2011

Colgate, Carefree, Gio'Style. Quando la pronuncia va per conto suo

Le tre marche del titolo sono le prime che mi sono venute in mente. Rappresentano casi di una pronuncia fortemente italianizzata. Sarebbe interessante procedere ad inventariare queste situazioni e capire come nasce questo rapporto "viziato" tra naming internazionale e pronuncia locale del nome. Dopo il post relativo ai nomi di Algida, mi rendo conto che sto procedendo a portare esempi di casi non ortodossi che vanno contro i capisaldi delle più consolidate pratiche di naming (stesso identico nome in tutto il mondo, pronuncia inattaccabile da spelling errati). 

Una spiegazione di base per questo paio di fenomeni è comune: l’internazionalizzazione degli scambi, delle acquisizioni (merger and acquisitions) e del branding è stata molto più rapida dell’internazionalizzazione del “mercato” dei segni, che vive tempi più lunghi, compreso nel caso di quel triste basic-business english oggi lingua franca in molte scelte di naming.

Ma torniamo ai tre esempi Colgate, Carefree e Gio’Style: è stato il massiccio martellamento pubblicitario che ha messo in circolo queste pronunce, basti ricordare i jingle di Carefree o Gio’Style (in questo secondo caso serve andare un po’ più indietro negli anni). Così anche presso un pubblico che masticava abbastanza bene l’inglese ha vinto la pronuncia italianizzata.

Si potrebbe riflettere sulle ragioni di queste scelte. Quasi sicuramente i pubblicitari, sfiduciati dell’italica non conoscenza delle lingue straniere, si sono convinti che era opportuno italianizzare al massimo le pronunce. Il fatto è che, nel caso di Carefree (sic... letto proprio come si scrive), ne è uscita una pronuncia assai buffa che inoltre ha spappolato completamente il buon posizionamento convogliato da quel nome ("spensierata"). Ovviamente tale posizionamento è stato recuperato dalle storie narrate dagli spot (c'è tutto un filone di prodotti per il personal care o la farmacia fai-da-te che narra la giornata fuori casa libera dai pensieri che possono dare certi "intoppi" come il raffreddore, la diarrea o altro ancora, un filone che esplicitamente sostiene la necessità della "performance" nella vita di ogni giorno fuori dalle porte di casa).

La mia percezione è che tale fenomeno di italianizzazione di pronuncia si sia arrestato. Naturalmente servirebbero studi e metriche adeguate per affermarlo con certezza. Se la percezione si confermasse vera, credo che le cause potrebbero ritrovarsi in una migliorata alfabetizzazione, in una maggiore mobilità e anche nell’assenza di martellamenti così massicci come quelli di un tempo che servivano a introdurre/imporre all’attenzione determinati prodotti congiuntamente alla loro pronuncia (giusta o adattata che fosse). Se l’era dell’interruption marketing volge al termine come ha sostenuto Seth Godin, allora anche il naming dovrà in parte tener conto della cosa. Resta comunque il fatto che le diversità di pronuncia rimarranno sempre e ovunque, con buona pace di tutti. Un buon nome internazionale può soltanto provare a rendere il compito della fonazione più agevole su diversi paralleli e meridiani.

1 commento:

  1. Interessante.
    Oggi, come forse volevi riconoscere, la questione si è spostata sulla deliberata pronuncia semplificata di molti nomi di origine non italiana; e non solo i nomi proprii dei prodotti ne sono oggetto, ma anche molte parole entrate nell'italiano corrente di origine straniera, magari utilizzate nelle pubblicità per descrivere il prodotto oppure per creare un "eambito" pubblicitario.

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