Vi siete mai chiesti perché IBM o LG sono sigle e brand names che leggiamo all'italiana, mentre, nel caso della storica azienda tedesca AEG, ricorriamo quasi tutti a una poco familiare pronuncia tedesca, senza pensarci, in automatico, anche chi non ha mai fatto nemmeno la lezione numero 1 di tedesco sull'alfabeto? Eccoci catapultati nell'insidioso territorio-binomio di naming e pronuncia. Un nome che sia anche anche bello da vedere (magari per una simmetria interna di lettere) ma difficile da pronunciare, fosse anche soltanto in determinati paesi, può essere un nome problematico e da evitare. Questo è un fatto assai noto a chi si occupa di naming. Ma con le sigle come la mettiamo? Con le sigle, il problema della pronuncia si risolve alla base?
I nomi di aziende-brand espressi da una sigla sembrerebbero sfuggire a queste problematiche. Nella loro neutralità infatti si adattano e vengono plasmati a seconda dell'alfabeto fonetico di un determinato paese e di una data lingua che ne accoglie i prodotti (naturalmente si deve fare attenzione che la lettura della sigla non incappi in qualche suono-allusione poco desiderabile). Ci sono però delle eccezioni che hanno fatto a loro modo scuola e epoca. Questa situazione abbastanza diffusa di "metamorfosi della pronuncia della sigla-nome a seconda del paese" stava probabilmente stretta all'azienda tedesca AEG, che è riuscita a imporre (è proprio il caso di scrivere "imporre letteralmente") una pronuncia tedesca, con quella "ghe" finale così caratterizzante. Possiamo solo immaginare quale lavoro capillare, indefesso, metodico e costante sia stato necessario per imporre questa pronuncia a livello mondiale, affinché oggi AEG sia pronunciato alla stessa maniera a Roma come a Lisbona. Penso sarebbe interessante ricostruire il ruolo fondamentale di tutti gli attori della catena, dal top management dell'azienda al rivenditore di una lavatrice AEG, che quasi sempre la presenterà nel segmento premium assieme a una Miele (nome interessantissimo e strano, in grado di creare determinati cortocircuiti semantici, se si pensa al settore, ma pure efficaci sinergie come quando gioca in tandem col design del cestello a "nido d'ape"). Naturalmente a tutti è nota la motivazione principale di questo sforzo: attraverso quella G pronunciata "ghe" passa il paese del "made in", è veicolata la Germania, con tutte le sue connotazioni di affidabilità, qualità, durata, efficienza, tutte caratteristiche imprescindibili per un elettrodomestico. Insomma, la pronuncia di un nome rimane e rimarrà sempre un versante fondamentale della valutazione di un'operazione di naming, anche nel caso delle apparentemente innocue e neutre sigle.
Ma alla fine sto coso scritto, che cosa hai voluto dire?
RispondiEliminaLo vedo un argomento inutile!
Non capisco. Scusi. Ho voluto dire né più né meno di quel che ho scritto, cioè che le sigle hanno degli aspetti di pronuncia da contemplare, che non sono del tutto "neutre" e che possono avere un'anima nella loro "asciuttezza", un'anima tedesca come nel caso di AEG e della sua pronuncia tedesca. Grazie del commento. Alberto
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