giovedì 6 ottobre 2011

Angelo Ferrara e il brand naming secondo RobilantAssociati

Interviste a chi il naming lo fa #7

Prosegue la serie di "interviste a chi il naming lo fa". Il settimo appuntamento è con RobilantAssociati, realtà di cui ho già scritto altre volte in questo spazio. Tanto per intenderci sulla rilevanza di RobilantAssociati nel mondo del brand design potremmo ricordare alcune svolte epocali che ha introdotto (ovviamente in partnership con i propri clienti), cambiamenti che sono tutti i giorni sotto i nostri occhi: la revisione all'identità visiva dei Baci Perugina, con gli innamorati non più in primo piano ma spostati sullo sfondo e ringiovaniti, azione perseguita per "disimpegnare" e aggiornare questo cioccolatino altrimenti troppo compromesso con l'innamoramento e con un'immagine che ormai aveva trent'anni, le attuali versioni dell'identità visiva di marchi dell'importanza di Alfa Romeo, Fiat, Lancia. A parlare del brand naming in casa Robilant troviamo Angelo Ferrara, entrato nella struttura nel 2008 con l'incarico di direttore creativo della divisione Corporate Branding.

AC: Come si inserisce il naming nella ormai lunga storia di RobilantAssociati?
AF: RobilantAssociati ha sempre impostato con i propri clienti una partnership collaborativa, basata su fiducia e condivisione degli obiettivi. Questo ha permesso di essere coinvolti nelle fasi sempre più a monte dei processi di New Product Development, portando una conoscenza reale e intima delle dinamiche produttive e delle caratteristiche di prodotto.
Una simile vicinanza al cuore produttivo dell’impresa è la chiave per la definizione delle migliori strategie, finalizzate a valorizzare sul mercato il prodotto/servizio e i suoi punti di forza.
La richiesta dei nostri clienti di potersi affidare al nostro approccio olistico al brand anche per questo il servizio di naming è quindi cresciuta progressivamente e nel tempo la nostra expertise è maturata estendendosi dal naming di prodotto al naming per brand e servizi.

AC: Quali settori, dal vostro punto di vista, si dimostrano più attivi e anche sensibili a questa particolare tematica del branding?
AF: Il naming è fondamentale sicuramente per tutti i prodotti che nascono per il mercato consumer e rappresenta una forte leva per alcune operazioni di branding. Ma mentre la realizzazione di un nome per prodotti commerciali è quasi necessario, la creazione di un nome per un’azienda, uno studio legale o di un museo è più recente, e diventa sempre più rilevante. Questo settore ricerca in un nome il messaggio ed il racconto, che comunichi istantaneamente, che si incolli alla mente e abbia un suono “familiare”. In un mondo dove catturare l’attenzione è una sfida, il nome deve oggi diventare una piattaforma comunicativa. È quello che oggi viene chiamato “microstyle”.
Ma rifuggendo dall’uso del naming come esercizio creativo fine a sé stesso, RobilantAssociati ha sempre utilizzato il naming come strumento a completamento di strategie di branding fortemente legate all’identità dell’azienda e alle sue prospettive di sviluppo. Potremmo dire che realizziamo un nome solo dopo aver definito una storia.
Quando abbiamo realizzato il brand per il servizio di shuttle Alitalia tra Roma e Milano, abbiamo cercato un nome diretto e memorabile, in grado di comunicare la tempestività, l’efficienza e lo stile asciutto che il businessman ama. Il nome RomaMilano-MilanoRoma nella sua disarmante semplicità, racchiude tutto questo. Ma è stato anche avvallato da una brand image, uno stile di comunicazione ed elementi architettonici che hanno raccontato questo stile affascinante e asciutto. E surprise-surprise, il nome era anche disponibile per essere registrato.
Per InPartner abbiamo realizzato un nome, Parallelo, che non voleva solo delineare uno spazio, ma una nuova categoria nell’edilizia, da grattacielo (verticale) a Parallelo (orizzontale).
Per il consorzio Melinda abbiamo definito un nome che si sviluppa intorno al concept “Real Quality (of life)”, inteso come qualità totale della vita, per quei consumatori interessati a sapere non solo chi produce, ma anche come e da dove provengano i prodotti. Il nome From: diventa quindi sia nome che messaggio (where do you come From:?).

AC: Lei ha vissuto e operato all'estero per diversi anni. In riferimento a questa tematica specialistica, ha potuto constatare una specificità del naming (nell'approccio metodologico, nel modo di richiedere e/o offrire il servizio, nella considerazione dell'importante aspetto legale)?
AF: Nella mia esperienza all’estero, ma non ho mai partecipato ad una ricerca nomi “scientifica”. È sempre arrivato mentre si lavorava al progetto, in maniera maieutica. Si avvisava sempre il cliente che un nome non era un momento “eureka” e di pura genialità, che difficilmente ci si innamorava al primo momento, che bisognava avere coraggio (nomi che sono diventati vincenti nel mercato, venivano scartati durante le ricerche di mercato perché troppo audaci), che se ci faceva sentire a disagio, forse c’era qualcosa di interessante nel suo interno. Se un nome non era legalmente disponibile, si poteva cercare una modalità per risultare vincenti: il museo Tate Modern di Londra non ha un indirizzo web diretto (tate.com oppure tatemodern.com), ma la notorietà del luogo ha fatto sorpassare questo ostacolo. Ma un punto era imperativo: bisognava sempre vedere il nome insieme al suo abito: il nome è sempre legato al positioning e la brand identity.

AC: Nel vostro sito noto nella sezione "brand naming" una significativa presenza del "food&beverages". Soffermiamoci sul settore vinicolo. In questo blog ho parlato di wine naming in passato. Non crede che per un paese, un mercato e un contesto produttivo come l'Italia ci siano dei passi da gigante da compiere in questo preciso settore? È questa eventualmente l'occasione per lanciare qualche riflessione sullo stato di salute dei wine brands italiani? Al di là di quelle situazioni con una brand heritage notevole, ci potrebbe essere spazio per un'innovazione di prodotto che parta dall'analisi del mercato... e quindi la necessità di creazione di nuovi brand (di conseguenza nuovi brand name). Cosa ne pensa?
AF: In questo momento il comparto vitivinicolo italiano sta vivendo in realtà uno dei momenti di maggior successo, essendosi piazzato addirittura prima di quello francese per qualità e ricchezza dell’offerta. Tuttavia una riflessione sui suoi possibili sviluppi sarebbe di certo auspicabile, dal momento che nuovi attori si stanno affacciando a questo mercato con politiche di espansione sempre più aggressive.
Una serie di Paesi, primo fra tutti il Cile, pur non vantando la medesima tradizione e ricchezza dell’Italia in fatto di produzione vitivinicola, si stanno affermando sullo scenario internazionale grazie a piani strategici estremamente dettagliati e concreti volti alla conquista i mercati esteri.
L’Italia dal canto suo, pur nella sua eccellenza, paga il prezzo di un comparto molto frammentato e della mancanza di un piano di sviluppo concreto come sistema Paese con il quale presentarsi ai mercati stranieri. Singole strategie di brand, o di naming, non sono la risposta a problemi strutturali di questo tipo.

AC: Quali sono a vostro avviso i brand name più significativi comparsi negli ultimi anni? Brand name che in qualche modo segnano un momento, delineano un'innovazione, uniscono coraggio-creatività-visione?
AF: Amo i nomi composti, apparentemente banali: Walkman, Playstation, Blackberry, YouTube, Facebook. Nomi che diventano parte del nostro modo di parlare, che superano il prodotto stesso e si posizionano come nomi di categoria. Ma più che al nome stesso, sono affascinato ora dalla sinergia che si instaura fra il nome, il payoff e il manifesto. Sempre di più vediamo nomi che vengono raccontati attraverso una storia, un credo. Fra i più famosi, il video di Apple-Think different. Ho trovato questa magia anche nel brand telefonico Orange di Hutchison, un nome che non ha niente a che fare con tecnologia, ma con semplicità ed ottimismo, un nome che va contro i tecno-nome di Vodafone, T-Mobile o Cellnet. Un positivismo che si è manifestato non solo con il nome (è stato il primo ad introdurre il bill-per-second). Ma è con la sinergia del nome, payoff e campagna di lancio che ha costruito una forte piattaforma emotiva e strategica. I primi manifesti erano di colore nero e tappezzavano la città con dei semplici titoli in un sottilissimo Helvetica Neue: listen. cry. talk, laugh. E una frase di chiusura “the future is bright, the future is orange. Come si fa a non innamorarsi di un nome raccontato così?

Nessun commento:

Posta un commento