Interviste a chi il naming lo fa #4
Con i suoi 17 uffici mondiali, Landor è tra i principali player nel settore della brand consultancy e opera su una pluralità di servizi e expertise che costituiscono quel particolare nucleo di attività che potremmo chiamare "i mestieri della marca", un insieme di attività in espansione, come capiamo dall'intervista.
Antonio Marazza, da anni alla direzione dell'ufficio milanese di Landor, si inserisce nella serie di "interviste a chi il naming lo fa" offrendo un'angolatura di visuale interessante e, per chi volesse, anche qualche punto meritevole di discussione.
AC: Il naming è solamente un versante dell'expertise di Landor. Con quale frequenza vi trovate a lavorare su progetti di naming? Avete notato delle differenze nel modo di chiedere (e di offrire) il servizio nell'ultima decina d'anni?
AM: Direi che in Italia capitano alcune opportunità ogni anno, sia di naming corporate che di prodotto, ma il dato va senz’altro moltiplicato per i 17 uffici mondiali di Landor. Infatti ormai è abbastanza raro che ci venga richiesto di individuare un nome applicabile solo a livello nazionale, per cui in realtà ci troviamo a lavorare quasi continuativamente su progetti di naming, indipendentemente da dove origina la richiesta del cliente.
AC: Tra chi si occupa di branding, i paper di Landor sono noti. Ci può riassumere i principali driver di sviluppo e le maggiori criticità che Landor riscontra nel settore del naming?
AM: Oggi il naming è diventato un problema più di tipo legale che creativo: i clienti devono essere pronti a scegliere nomi “insoliti” o a fronteggiare un eventuale percorso ad ostacoli legale prima di ottenere la possibilità di utilizzare il nome desiderato in tutta tranquillità. Invece ancora troppo spesso i clienti si innamorano di un nome – spesso “ovvio” quindi probabilmente già in uso - che non ha possibilità di essere protetto legalmente, o sottostimano i tempi e gli investimenti necessari per portare a conclusione un progetto di ricerca naming. Da parte nostra cerchiamo di preparare il cliente a queste dinamiche fin dall’inizio del processo.
AC: I maggiori brand degli ultimi anni vengono probabilmente dal web e da qui vengono probabilmente i casi più interessanti di naming. Credete che il web e i brand nati e sviluppati su web debbano in qualche modo portare ad una rielaborazione delle principali teorie sul naming? In altre parole, credete che il naming per il web introduca nuove specificità?
AM: Credo che la moda dei nomi tipo Yahoo o Google degli anni novanta sia un po’ passata, e che anche attività che girano su piattaforme esclusivamente digitali si siano dotate in tempi relativamente recenti di nomi molto validi che continuano ad appartenere ad un ambito più classico, descrittivo o aspirazionale, come Twitter, Facebook o Myspace. È solo cambiato il contesto, ma i buoni nomi rimangono buoni nomi.
AC: Se analizziamo ogni expertise di Landor e di altre brand consulting firms, quale secondo voi si sta maggiormente sviluppando negli ultimi anni (identity, packaging, insight, brand innovation ecc.)? Tra tutti questi, come "sta" il naming?
AM: Dal nostro punto di vista sono in grande sviluppo tutte le attività che contribuiscono a dare concretezza di business alle strategie di marca: creazione di esperienze che rappresentino la promessa di marca a 360°, attività di allineamento e coordinamento con altre discipline di comunicazione, allineamento della cultura aziendale ai valori della marca, identificazione delle implicazioni operative di una determinata strategia di marca: i clienti hanno bisogno di affiancare al rigore delle strategie e alla creatività risultati e concretezza. Ma ci sarà sempre bisogni di nomi, che rappresentano per noi un eccellente entry point per costruire una relazione solida con i clienti.
Nessun commento:
Posta un commento