mercoledì 14 settembre 2011

Nomen Italia, specialisti di brand naming e servizi affini

Interviste a chi il naming lo fa #6

Veniamo ora alla più consolidata realtà di naming in Italia. Mi riferisco a Nomen Italia, fondata sul finire degli anni Ottanta da Béatrice Ferrari. Ora, dopo il suo distacco già ricordato nella prima intervista di questa serie di “interviste a chi il naming lo fa”, l’agenzia milanese del network internazionale Nomen porta avanti un operato contraddistinto da know-how largamente stratificato e multisettoriale, come si evince dalle risposte del duo composto da Armelle Sabba e Gianluca Billo.



AC: Nomen... omen. Con un nome così si capisce che Nomen è l'incipit del naming professionale in Italia. Dal vostro osservatorio privilegiato, quale sguardo e percezione avete dello sviluppo dei servizi di naming nel nostro paese? Grazie al network Nomen avrete inoltre la possibilità di un continuo scambio e confronto con altre situazioni internazionali. Emergono specificità nazionali o ci sono dei trend globali?
AS: Direi Alberto che, oltre al nome che dice tanto di noi in Italia (nei paesi anglossassoni è tutta un'altra storia!), Nomen è la pietra miliare del naming. Siamo nati 22 anni fa in Italia e nessuno pensava che potesse esistere una società dedicata all’invenzione dei nomi per i prodotti. Ci dicevano "ma la gente vi paga per questo?" Oggi, è diverso. Le medie e grandi aziende sono più preparate al naming; per forza, non riescono più a trovare nomi liberi!
Il naming oggi lo fanno tutti: dai singoli copywriter, che puntano tutto sul proprio “genio creativo”, alle agenzie di comunicazione che sentono l’esigenza di trattare la marca in tutti i suoi aspetti, talvolta senza le competenze necessarie per affrontare i rischi di un nome sbagliato, ai free lance che vendono creatività a poco prezzo su Internet. Per inventare una parola non ci vuole molto, certo, forse bastano anche 5 minuti. Ma spesso, troppo spesso quella parola non basta, per qualche motivo non funziona, e allora bisogna inventarne un’altra, e poi un’altra, e poi un’altra… e di questo passo, senza criteri chiari di riferimento, si può andare avanti all’infinito, e non trovare mai una soluzione.
La nostra percezione è che tuttora però le aziende ci provano sempre in interno e quando vedono che non riescono ad arrivare a un risultato idoneo, cercano davvero i professionisti.
Per quanto riguarda i trend, direi che sono piuttosto globali. Con Internet, non ti puoi più permettere di rimanere locale. Ovviamente ci sono delle specificità all'interno dei vari paesi, o dei servizi che sono quasi fondamentali in alcuni paesi e in altri meno. Per esempio, in Cina o in Giappone, tutti i nomi che presenti devono aver passato una fase di verifica sul target. In Italia non è cosi ovvio.

AC: Parlando di servizi di naming, mi ha sempre colpito l'aspetto dei servizi "affini" al naming offerti dalle agenzie specializzate (ricerche linguistiche, ricerche di marketing, analisi di portafoglio-nomi ecc.). Potresti brevemente approfondire questo aspetto?
AS: Oggi, credo che per avere qualcosa in più in un panorama sempre più ampio, bisogna poter vendere altri servizi collegati al naming, senza allontanarsi dalla nostra essenza e dal nostro posizionamento. Siamo gli unici ad avere un network cosi internazionale da permettere di fare ricerche linguistiche e culturali in tutti i paesi del mondo. I nostri corrispondenti sono formati da più di 20 anni all'aspetto linguistico dei nomi. In un mercato sempre più globale non ci si può dimenticare di verificare la leggibilità, il significato che un nome può avere nei vari paesi ma anche il suo vissuto culturale. A parte i vari tipi di ricerche linguistiche, abbiamo sviluppato notevolmente le ricerche marketing: dalla verifica del potenziale dei nomi sui consumatori, all'immagine che comunica un brand in un certo contesto, all'analisi di un settore merceologico. Ultimamente, è nata all'interno del nostro gruppo una società specializzata nelle ricerche quantitative in modo da poter rassicurare i nostri interlocutori che cercano sempre di più la prova di un risultato attraverso i numeri. L'altro campo dove è stato fatto tanto per offrire un servizio sempre più chiave in mano è la parte legale: una maggiore consulenza sui marchi, una vera tutela del portafoglio dei marchi. Come vedi, anche se il naming potrebbe sembrare un elemento minimo nel mondo del marketing e della comunicazione, i servizi e le discipline sono numerosi.

AC: C'è un settore che sforna nomi in gran quantità e che appare abbastanza "difficile" per la sua specificità. Mi riferisco al settore farmaceutico nel quale Nomen opera da anni. Potresti illustrare ai lettori del blog le dinamiche più frequenti di questo settore?
GB: Ti presento uno scenario tuttora molto diffuso: l’azienda farmaceutica sviluppa una nuova molecola, progetta un nuovo farmaco e inventa un nome ad hoc. Ma in tanti casi il nome inventato dall’azienda non arriva al mercato perché viene bloccato prima dagli organismi preposti al controllo (il Ministero della Sanità in Italia, l’FDA negli USA, per esempio). E nonostante i controlli, da una recente ricerca dell’ FDA si evince che negli USA circa un milione e trecento mila persone sono state vittima di errori nel campo della medicina, e più del 12% di questi errori è stato generato dalla confusione di nomi.
Il nome del farmaco viene rifiutato se esprime o richiama i benefici che il farmaco apporta; ma anche se il nome ne magnifica gli effetti; e naturalmente se il nome è simile a qualche altro nome di farmaco esistente, per non generare confusione nel paziente e nel medico; e ancora, il nome commerciale non può richiamare troppo chiaramente il nome generico della molecola, che è di patrimonio comune. Si può dire che il nome buono, forte e giusto per un prodotto farmaceutico è un nome studiato soprattutto secondo parametri fonetici (il suono) e morfologici (la forma, la lunghezza), più che secondo parametri semantici (il significato del nome). Meno un nome ha un significato riconoscibile, più è facile che il nome superi il vaglio del Ministero o dell’organismo preposto al controllo.
Le restrizioni sono molte, come vedi. A queste si devono aggiungere il diritto dei marchi, che tutela la novità, la distintività e l’ingannevolezza del nome, e l’aspetto linguistico e culturale (come il nome viene letto e pronunciato nei vari paesi di commercializzazione del prodotto, l’assenza di evocazioni negative). Perché in generale, il lancio di un nuovo farmaco implica anni e anni di ricerche e di investimenti, con l’obiettivo di creare un prodotto da vendere in molti paesi. Per darti un’idea di budget, secondo alcune stime americane non è raro che le aziende farmaceutiche investano tra i 200 e i 500 mila dollari per la creazione e la selezione di un nome per un nuovo farmaco. Noccioline, in confronto agli investimenti stimati intorno agli 800 milioni di dollari per un intero percorso, dalla concezione del farmaco alla sua vendita in farmacia. Ecco perché un nome per il mercato farmaceutico deve essere studiato con grande attenzione, ed ecco perché un buon nome può fare la differenza.

AC: Se c'è un prodotto che sembra fatto appositamente per il naming, questo è il profumo. Nomen ha una notevole esperienza in questo. Potresti raccontare qualche caso interessante? E inoltre, in un post precedente, riflettevo su come l'industria del vino (almeno in Italia) sia ancora lontana dal naming pur essendo, a ben guardare, legata in larga parte alle dinamiche di quella dei profumi (canali di vendita esclusivi, una certa rigidità di prezzo, attenzione al packaging, enfasi sulle essenze). Qual è la tua personale visione sul prodotto "vino" in rapporto al naming?
GB: Nomen lavora spesso nel settore dei profumi, sia in Italia che all’estero. In Italia le aziende che producono i profumi sono poche, e i marchi rimasti completamente italiani ancora meno. Un esempio interessante è la griffe Salvatore Ferragamo, con cui collaboriamo da anni. La casa di moda ha al suo interno una società interamente dedicata ai profumi (Salvatore Ferragamo Parfums), con sede a Firenze.
Ferragamo Parfums ha scelto la strada del nome italiano con i profumi Incanto e Attimo, venduti in Europa, negli USA e in Asia. Ma la scelta della lingua italiana non è una strada facile: è necessario trovare nomi che si possano leggere ovunque, e che non richiamino parole sconvenienti. Il Giappone per esempio, apparentemente così lontano da noi dal punto di vista linguistico, ha nel suo linguaggio quotidiano numerose parole identiche per sonorità a quelle italiane, ma con significati completamente diversi. Un esempio per tutti: un nome breve e positivo come AMA, terza persona del verbo amare in Italia, senza distinzioni di genere maschile o femminile, in Giappone suona come una parola che significa “monaca buddista”, ma anche come un’altra parola che significa “subacquea”, e infine come una parola che significa “donna di facili costumi”… Sembra incredibile, no?
Parliamo ora di vino: non basta un nome innovativo, dirompente, distintivo per creare una storia di successo, ma certamente un buon nome è un buon punto di partenza. In Italia il naming dei vini segue spesso criteri tradizionali o imitativi (nomi che suonano come altri nomi di vini che hanno avuto successo), oppure si vedono nomi stravaganti che parlano soprattutto al cuore di chi il vino lo ha fatto (perché vengono dalla sua storia personale) ma che dicono poco al mercato. Difficilmente in Italia nascono nomi paragonabili alla forza dirompente di Yellow Tail, una linea di vini (Australiani) di grande successo mondiale (e tuttavia di qualità medio-bassa), o di Red Bicyclette, una linea di vini prodotta in Francia e venduta negli Stati Uniti (c’è una gustosa storia di inganni e figuracce dietro a questo marchio, ti invito a curiosare). Forse in Italia il vino è ancora percepito da molti come un prodotto “tradizionale”, che non può permettersi stravaganze, pena il rifiuto del mercato. In Australia, nuovo mondo per il vino, tutto è possibile…

AC: Per finire, un nome che avresti voluto lanciare tu?
GB: IKEA, senza dubbio. Breve, facile, di suono gradevole, indimenticabile. Con un nome così si può vendere qualsiasi cosa, e loro non si sono lasciati scappare l’opportunità!

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