sabato 3 settembre 2011

Santal B.A., fare naming e branding con quanto già c'è

Un produttore di succhi di frutta può scrivere sulla confezione "Bassa acidità" per esteso e trattare questa caratteristica come un plus del prodotto. Allo stesso tempo può decidere di sintetizzare e soprattutto enfatizzare questa caratteristica del succo con una sigla "B.A." che conferisce una nuova denominazione al prodotto, o comunque una sigla che si inserisce all'interno della nuova configurazione nominale del prodotto.

Osservando l'immagine si capisce bene quel che sto suggerendo e la mossa interessante compiuta da Santal. A dire il vero c'è un precedente importante in un'altra azienda produttrice di succhi di frutta (e quindi, almeno per quel che riguarda il naming, si parla di una strategia me too) e mi riferisco a quel Yoga AQ che sembra rafforzare l'idea di un amore per le sigle nel settore degli alimentari, una passione prima forse sconosciuta e comparsa solo negli ultimi anni (pensiamo anche a LC1 di Nestlé). Sembra che il settore alimentare nel suo complesso, ricco storicamente di nomi abbondanti, pieni, comunicativi stia "emancipandosi" ricercando una prerogativa di settori più tecnici, dove le sigle sono di casa.

Trovo curioso questo aspetto, che forse è eccessivo definire già trend. Meglio parlare di una sorta di cross-fertilization del naming. Se le sigle comunicano ormai poco all'interno di un settore dato, ecco che trasportando la loro logica in un settore nuovo, precedentemente occupato da altre logiche di naming, riscoprono una nuova vita e una nuova funzione. Una ragione in più per studiare e analizzare il naming sempre all'interno di uno scenario competitivo specifico e per ribadire la rilevanza di quello che solitamente si definisce "contesto comunicativo".

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