martedì 14 giugno 2011

Il nome del vino. Siamo i numeri uno anche in questo?

In questi giorni è apparsa la notizia che l'Italia è il primo produttore di vino al mondo. Contestualmente è apparsa la "subnotizia" che diceva pressappoco questo: serve fare più qualità, più bottiglie e meno vino sfuso e altre cose del genere.

Lavoro in arrivo per le vetrerie quindi, non saprei se anche per chi si occupa di naming. Vini, nomi, nomenclature, Doc, Docg: un terreno assai scivoloso, dove a volte si fa fatica a parlare di un vero e proprio brand name (il vero brand per ora è infatti la Doc o la Docg o un tri-brand come "Franciacorta", territorio-metodo-vino) e dove si può, più verosimilmente, riscontrare una struttura di naming assai complessa data dal nome della cantina del produttore, dalla denominazione della varietà e talvolta anche dal nome proprio del prodotto.


Mentre il settore del label design ha raggiunto livelli di avanguardia (con concorsi dedicati in fiere importanti come il Vinitaly), quello del naming sembra debba ancora investire questo ricco ma assai complesso comparto dell'ecomomia italiana. Tutto sembra lasciato al caso, all'iniziativa dei singoli e magari all'iniziativa di chi si occupa principalmente di package design o label design.

Non vorrei spingere troppo sull'acceleratore e non vorrei che le mie parole suonassero addirittura blasfeme (quanta delicatezza serve avere per parlare di un prodotto vanto nazionale?) ma quello che mi chiedo è questo: se il settore della profumeria può considerarsi benchmark per il settore del vino (importanza del brand, del packaging, l'enfasi sulle essenze, gli investimenti nel naming, un canale distributivo esclusivo), quanto impiegheremo a capire l'importanza che il nome riveste anche nel mondo dei vini? Se sarà sempre meno "sfuso", il vino necessiterà di nuove attenzioni, non solo nel design della bottiglia (le forme ormai le conosciamo) e delle etichette. Magari in futuro proverò a capire se ci sono già in Italia delle interessanti realtà di wine naming.

3 commenti:

  1. In un ambito variegato come questo si pongono diverse stratificazioni riguardo il naming, come giustamente accennato.
    Varrebbe la pena approfondire e svolgere quelli che possono apparire tanti foglietti appallottolati. Indagare su diversi livelli in divenire: rilevanza della D.O.C./D.O.C.G., dimensione del produttore, età commerciale della D.O.C./D.O.C.G. e del prodotto, tipologia di vino e mercato di riferimento (geografia, età, ecc.), proprietà e conduzione, filosofia enologica. Buon lavoro (?)

    RispondiElimina
  2. Cominciamo a raggruppare i naming dei vini in sottogruppi. Il più grande, e a mio avviso antipatico, è quello che rimanda a nomi di ipotetiche antichi casati e marchesi che potrebbero/vorrebbero fungere da garanzia sulla tradizione che si cela dietro il prodotto.

    RispondiElimina
  3. Sicuramente si tratta di un sottogruppo consistente, che vuole comunicare storia-heritage. Una strategia di denominazione che non è neanche vera e propria strategia. Credo che comunque non siano qui le sorprese più interessanti che si possano riscontrare in ambito di branding e naming in questo settore.
    Grazie

    RispondiElimina